Rimborso spese - Licenziamento

L’irregolarità nella procedura di rimborso spese e la sua rilevanza ai fini del licenziamento per giusta causa nell’ambito dei sistemi aziendali informatizzati: spunti ricostruttivi a partire dall’ordinanza n. 23189/2025 della Corte di Cassazione

Avv. Francesco Cervellino

8/22/2025

L’ordinanza n. 23189/2025 della Corte di Cassazione offre un’importante occasione per riflettere sul delicato rapporto tra l’irregolarità formale nella gestione delle procedure aziendali informatizzate e la configurabilità di una condotta idonea a fondare un licenziamento per giusta causa. La vicenda sottesa alla pronuncia riguarda una lavoratrice che, avvalendosi del portale automatizzato messo a disposizione dal datore di lavoro per la gestione delle spese di trasferta, ha richiesto il rimborso di un importo superiore a novecento euro, comprensivo di oltre duecentocinquanta euro successivamente esclusi dal computo rimborsabile in quanto ritenuti estranei alla prestazione lavorativa e carenti di giustificazione documentale idonea.

La questione dirimente che il Supremo Collegio è stato chiamato a scrutinare concerne la qualificazione della condotta della dipendente quale mera irregolarità formale oppure quale violazione sostanziale degli obblighi contrattuali, idonea a integrare una causa di licenziamento per giusta causa ex articolo 2119 del codice civile. La Corte ha ritenuto che, nel contesto di una procedura aziendale automatizzata con controllo ex post da parte del datore di lavoro, la condotta in esame non possa essere elevata al rango di comportamento fraudolento, mancando l’elemento soggettivo del dolo specifico.

In questa prospettiva, la Corte ha valorizzato la struttura funzionale del sistema informatico predisposto dal datore di lavoro, il quale, prevedendo l’inserimento unilaterale da parte del dipendente dei dati relativi alla spesa sostenuta, seguita da una fase di validazione e controllo a cura dell’azienda, non consente di ritenere che la mera presentazione di spese non coerenti con la policy aziendale integri, di per sé, una volontà elusiva o fraudolenta. La produzione di documentazione non conforme o lacunosa, infatti, si colloca nell’ambito di una violazione procedurale suscettibile di essere qualificata come inadempimento non grave, e pertanto inidoneo a giustificare la misura espulsiva, salvo la prova di ulteriori elementi che attestino la volontarietà e la consapevolezza dell’abuso.

Sotto il profilo sistematico, la pronuncia si inserisce nel solco di una giurisprudenza che, pur non escludendo in astratto la configurabilità del dolo nel contesto di sistemi automatizzati, richiede che tale elemento soggettivo emerga in maniera inequivoca e sia sorretto da riscontri oggettivi, in ossequio ai principi di proporzionalità, gradualità e tipicità delle sanzioni disciplinari. Il principio di affidamento reciproco che governa il rapporto di lavoro subordinato – fondato sull’adempimento degli obblighi di diligenza, correttezza e buona fede ex articoli 1175, 1375 e 2104 del codice civile – non può ritenersi irrimediabilmente compromesso da una condotta che, pur censurabile sotto il profilo organizzativo, non presenti connotazioni di fraudolenza.

Merita rilievo anche il profilo connesso alla responsabilità organizzativa del datore di lavoro, il quale, nell’adozione di strumenti digitali per la gestione delle spese, assume un obbligo di predisposizione di controlli interni effettivi e tempestivi. La diligenza professionale qualificata cui è tenuto l’imprenditore nella regolamentazione dei processi aziendali esclude che l’assenza di un sistema di validazione in tempo reale possa essere surrettiziamente addotta per aggravare la posizione del lavoratore in sede disciplinare. In tale contesto, l’irregolarità documentale, ancorché reiterata, non può essere assunta come presunzione assoluta di dolo, se non è integrata da una prova rigorosa della consapevole volontà elusiva.

Il contrasto tra le decisioni di merito e quella della Cassazione evidenzia la necessità di una lettura coerente e sistematica dei principi che regolano il licenziamento disciplinare nell’era della digitalizzazione delle procedure aziendali. In particolare, la configurabilità dell’abusività della clausola disciplinare, ove applicata automaticamente a comportamenti non fraudolenti, sollecita una riflessione sul bilanciamento tra potere direttivo e sanzionatorio del datore e le garanzie del lavoratore in ordine alla tutela dell’affidamento e alla tipicità delle condotte sanzionabili.

In definitiva, l’ordinanza in commento contribuisce a rafforzare l’orientamento volto a circoscrivere l’ambito di operatività del licenziamento per giusta causa in ipotesi di irregolarità procedurali prive di dolo, affermando il principio per cui la natura automatizzata della procedura di rimborso e il controllo differito ad opera dell’azienda costituiscono elementi ostativi alla configurazione di una condotta fraudolenta. Tale approccio si pone in linea con i più avanzati criteri ermeneutici in materia di giustizia contrattuale e tutela del contraente debole nel rapporto di lavoro subordinato, riaffermando il primato dei principi di proporzionalità e ragionevolezza nell’applicazione delle sanzioni disciplinari.