
Lavoro
La clausola restitutoria nell’apprendistato tra autonomia privata e tutela dell’investimento formativo. Tribunale Roma 10843/2025
Avv. Francesco Cervellino
12/20/2025

Nel sistema del diritto del lavoro, il contratto di apprendistato si colloca quale istituto a funzione mista, nel quale la causa formativa assume rilievo centrale accanto alla prestazione lavorativa. La recente giurisprudenza di merito ha offerto un contributo significativo alla definizione dei confini di legittimità delle clausole contrattuali volte a presidiare l’equilibrio sinallagmatico del rapporto, con particolare riferimento alle ipotesi di recesso anticipato dell’apprendista. In tale prospettiva, la sentenza del Tribunale di Roma n. 10843 del 27 ottobre 2025 si inserisce in un filone interpretativo che valorizza la meritevolezza dell’interesse datoriale alla tutela dell’investimento formativo, purché tale interesse sia perseguito mediante strumenti proporzionati e coerenti con la funzione dell’istituto.
L’inquadramento normativo dell’apprendistato evidenzia come il legislatore abbia delineato un rapporto a tempo determinato caratterizzato da un progetto formativo individuale, destinato a consentire l’acquisizione di competenze professionali specifiche. La disciplina positiva riconosce alle parti un’ampia autonomia nella regolazione del rapporto, fatta salva l’inderogabilità delle tutele minime poste a presidio del lavoratore. In tale contesto, il recesso anticipato dell’apprendista, sebbene espressione di un diritto potestativo, incide direttamente sull’assetto di interessi sotteso al contratto, soprattutto quando intervenga in assenza di giusta causa o di un giustificato motivo. Proprio tale evenienza solleva la questione della legittimità di pattuizioni che prevedano obblighi restitutori o penali in capo al lavoratore dimissionario.
La decisione in esame affronta la problematica muovendo da una ricostruzione puntuale della clausola contrattuale, qualificata come previsione di durata minima correlata all’esercizio del diritto di recesso. Il giudice osserva che l’ordinamento non preclude alle parti di concordare conseguenze economiche connesse all’interruzione anticipata del rapporto, purché tali conseguenze non si traducano in una compressione indebita della libertà del lavoratore. La clausola restitutoria viene così ricondotta alla funzione risarcitoria, volta a compensare il datore di lavoro dei costi effettivamente sostenuti per la formazione specialistica dell’apprendista, costi che, in difetto di un periodo minimo di permanenza, non potrebbero essere ammortizzati.
Un passaggio centrale della motivazione riguarda la verifica della proporzionalità dell’obbligo restitutorio. La pronuncia sottolinea come la legittimità della clausola sia subordinata alla dimostrazione di un reale e documentato investimento formativo, nonché alla congruità dell’importo richiesto rispetto al pregiudizio subito. In tal senso, il giudice esclude che la clausola possa assolvere a una funzione meramente deterrente o punitiva, evidenziando la necessità di un nesso diretto tra l’ammontare della somma e il costo della formazione erogata. Tale impostazione si pone in linea con precedenti orientamenti che hanno ritenuto ammissibili patti analoghi quando il sacrificio economico imposto al lavoratore risulti giustificato dall’entità e dalla specificità dell’investimento formativo.
La sentenza valorizza inoltre la peculiarità delle figure professionali oggetto di formazione, caratterizzate da elevati standard di specializzazione e da percorsi formativi complessi. In tali ipotesi, l’interesse datoriale a beneficiare, per un arco temporale minimo, delle competenze acquisite dall’apprendista appare particolarmente intenso e, pertanto, meritevole di tutela. La clausola restitutoria viene così interpretata come strumento di riequilibrio del sinallagma contrattuale, idoneo a prevenire comportamenti opportunistici e a garantire la sostenibilità economica dell’istituto dell’apprendistato.
Non meno rilevante è il profilo relativo all’indennità sostitutiva del preavviso, che la pronuncia riconduce alla violazione di un obbligo autonomo rispetto alla clausola formativa. Il mancato rispetto dei termini di preavviso, in assenza di giusta causa, integra infatti un inadempimento che legittima la pretesa datoriale, a prescindere dalla questione della restituzione delle spese di formazione. Tale distinzione contribuisce a chiarire l’autonomia delle diverse voci risarcitorie e a evitare sovrapposizioni indebite tra piani concettuali differenti.
In una prospettiva sistematica, la decisione del Tribunale di Roma rafforza l’idea di un apprendistato fondato su un equilibrio dinamico tra diritti e obblighi delle parti. La tutela dell’investimento formativo non viene concepita come limite alla libertà di dimissioni, bensì come conseguenza patrimoniale dell’esercizio di tale libertà in violazione degli assetti contrattuali concordati. Ne emerge una lettura dell’autonomia privata coerente con i principi di buona fede e correttezza, che impongono alle parti di considerare gli effetti delle proprie scelte sull’altrui sfera giuridica.
La sentenza n. 10843/2025 contribuisce a delineare un quadro interpretativo nel quale le clausole restitutorie nell’apprendistato possono ritenersi legittime se sorrette da un interesse concreto e proporzionato e se ancorate a costi formativi effettivamente sostenuti. Tale approdo appare idoneo a garantire, da un lato, la protezione del lavoratore da oneri eccessivi e, dall’altro, la valorizzazione dell’apprendistato quale strumento di investimento in capitale umano. Le implicazioni pratiche della pronuncia suggeriscono una particolare attenzione, in sede di redazione contrattuale, alla chiarezza delle clausole e alla puntuale documentazione dell’attività formativa, al fine di assicurare la tenuta giuridica delle pattuizioni e la loro coerenza con la funzione dell’istituto.
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