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Lavoro

La selezione del personale da licenziare nelle piccole imprese tra correttezza, buona fede e indennizzo personalizzato: una lettura sistematica della sentenza n. 241/2025 del Tribunale di La Spezia

Avv. Francesco Cervellino

10/9/2025

La pronuncia n. 241/2025 del Tribunale di La Spezia si colloca all'interno di un filone interpretativo evolutivo che, pur nel perimetro applicativo del Decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, riafferma l'esigenza di un'applicazione sostanziale dei principi di correttezza e buona fede nell'esercizio del potere datoriale di recesso per giustificato motivo oggettivo, anche nell'ambito delle imprese di dimensioni ridotte.

In particolare, la sentenza in oggetto prende le mosse dalla contestazione di un licenziamento individuale intimato con causale di riduzione del personale, a seguito della chiusura di un punto vendita dell'impresa datoriale a causa di un evento accidentale. Pur riconoscendo la legittimità astratta della causale economica, il giudice ha rilevato una carenza nella fase attuativa del licenziamento, configurando una violazione dell'obbligo di selezione imparziale tra le posizioni fungibili, in assenza di un criterio oggettivo e trasparente.

La vicenda giudiziaria, connotata da forti elementi di commistione tra dinamiche familiari e imprenditoriali, non ha consentito di qualificare il recesso come ritorsivo in senso tecnico, mancando la prova dell'unicità del motivo illecito determinante. Tuttavia, la decisione evidenzia come la fungibilità delle mansioni e la prossimità logistica tra le sedi aziendali impongano un confronto sostanziale tra le posizioni professionali, indipendentemente dalla loro collocazione fisica, conformemente all'orientamento espresso da Cass., ord., 17 novembre 2022, n. 33889.

Sotto il profilo sistematico, è significativa l'adesione del Tribunale alla linea giurisprudenziale che, superando la storica esclusione dell'applicabilità dei criteri selettivi dettati per i licenziamenti collettivi (ex art. 5, Legge 23 luglio 1991, n. 223), riconosce in capo al datore di lavoro un obbligo di valutazione comparativa ispirato a parametri di equità, proporzionalità e bilanciamento degli interessi, discendenti dagli articoli 1175 e 1375 del codice civile, oltre che dal principio solidaristico sancito dall'art. 2 della Costituzione.

L'elemento di maggiore novità della sentenza è rappresentato, tuttavia, dalla valorizzazione della recente giurisprudenza costituzionale, in particolare della sentenza n. 118/2025 della Corte costituzionale, che ha inciso in modo determinante sull'impianto sanzionatorio previsto per le piccole imprese dall'articolo 9 del D.lgs. n. 23/2015. La Consulta ha infatti dichiarato l'illegittimità costituzionale della norma nella parte in cui prevedeva un tetto massimo inderogabile di sei mensilità per l'indennità risarcitoria, affermando la necessità di una tutela personalizzata e idonea a risarcire efficacemente il pregiudizio subito dal lavoratore illegittimamente licenziato.

Nel calare tale principio nel caso concreto, il Tribunale ha effettuato una valutazione articolata delle circostanze rilevanti, quali l'anzianità di servizio, la prossimità alla soglia occupazionale rilevante ex art. 18, Statuto dei lavoratori, la specialità del caso e la natura della violazione datoriale. La determinazione dell'indennità in otto mensilità, pur superiore al precedente limite normativo, risulta conforme ai criteri ermeneutici elaborati dalla Corte costituzionale, che impongono di guardare alla capacità economica complessiva dell'impresa, e non solo al mero dato dell'utile di esercizio.

La sentenza n. 241/2025 appare paradigmatica di un modello interpretativo che, pur nel rispetto della cornice normativa delle tutele crescenti, tende a temperarne le rigidità attraverso un'applicazione sistemica dei principi costituzionali e codicistici, con l'obiettivo di assicurare una tutela effettiva, proporzionata e concreta al lavoratore anche nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo all'interno delle piccole imprese. Si rafforza, così, la centralità dell'equilibrio tra potere organizzativo del datore di lavoro e diritti fondamentali del prestatore, in un'ottica di progressiva "costituzionalizzazione" del diritto del lavoro sostanziale.

Lo stesso articolo anche su studiocervellino.it