
Lavoro
Cessione del credito e trattenute sindacali: la Cassazione riafferma l’obbligo del datore di lavoro e la tutela del sindacato
Dott. Alessandro Cervellino
10/29/2025

Con l’ordinanza n. 27722 del 17 ottobre 2025, la Corte di cassazione – sezione lavoro – ha fornito una significativa ricostruzione della disciplina delle trattenute sindacali operate in busta paga a favore delle organizzazioni sindacali, riaffermando il principio secondo cui il datore di lavoro non può rifiutarsi di dare esecuzione alla cessione di credito disposta dai lavoratori per il versamento delle quote associative.
La decisione, che si colloca nel solco di un consolidato orientamento giurisprudenziale, chiarisce definitivamente che l’abrogazione referendaria del secondo e terzo comma dell’art. 26 dello Statuto dei lavoratori (L. n. 300/1970) non ha eliminato la possibilità, per i dipendenti, di utilizzare strumenti privatistici – quali la cessione del credito ex art. 1260 c.c. – per conferire mandato al datore di lavoro di trattenere le quote sindacali dalla retribuzione.
Il rifiuto datoriale di dare corso a tale cessione costituisce, pertanto, condotta antisindacale ai sensi dell’art. 28 dello Statuto, in quanto pregiudica tanto i diritti individuali dei lavoratori quanto quelli collettivi del sindacato.
Il caso e la decisione della Cassazione
Nel caso esaminato, un’azienda aveva omesso di effettuare le trattenute sindacali richieste da alcuni propri dipendenti, i quali avevano comunicato la cessione parziale del credito retributivo in favore della loro organizzazione sindacale. Il sindacato, dopo le diffide rimaste senza esito, aveva promosso ricorso ex art. 28 St. lav., ottenendo dal Tribunale e successivamente dalla Corte d’appello la dichiarazione di antisindacalità della condotta e l’ordine di cessazione del comportamento lesivo.
La Corte di cassazione ha confermato integralmente le decisioni di merito, respingendo il ricorso del datore di lavoro e ribadendo i seguenti principi:
- la legittimazione attiva del sindacato non richiede la stipula di contratti collettivi, ma può fondarsi su una comprovata e diffusa attività sindacale; 
- la condotta antisindacale è configurabile anche in assenza di dolo o colpa, poiché rileva l’effetto oggettivo di pregiudizio per l’attività sindacale; 
- la cessione del credito retributivo a favore del sindacato è pienamente legittima, non essendo vietata dal D.P.R. n. 180/1950 né dalle modifiche intervenute nel 2004 e 2005; 
- l’eventuale onerosità organizzativa per il datore non incide sulla validità della cessione, salvo prova di un concreto e insostenibile aggravio, che nella specie non era stato dimostrato. 
La Corte ha dunque ritenuto che il rifiuto datoriale di procedere alle trattenute costituisca una violazione plurioffensiva: lesiva dei diritti dei lavoratori cedenti e, al contempo, pregiudizievole per il sindacato, privato dei mezzi di sostentamento necessari allo svolgimento della propria attività.
Il quadro normativo: tra autonomia privata e tutela costituzionale
La sentenza si fonda su una ricostruzione coerente dell’evoluzione normativa successiva al referendum del 1995, che ha abrogato i commi 2 e 3 dell’art. 26 Statuto lavoratori, i quali prevedevano un obbligo generalizzato per i datori di lavoro di effettuare le trattenute sindacali in presenza di delega.
L’eliminazione di tale obbligo non ha tuttavia introdotto alcun divieto di procedere a tali trattenute, ma ha semplicemente restituito la materia alla autonomia contrattuale delle parti. Come ricordato dalla Cassazione, la Corte costituzionale, nella sentenza n. 13/1995, aveva chiarito che l’abrogazione mirava soltanto a rimuovere l’automatismo dell’obbligo, lasciando impregiudicata la possibilità di disciplinare i versamenti mediante strumenti di diritto privato.
In tale contesto, l’art. 1260 c.c. riconosce la libera cedibilità dei crediti, anche senza il consenso del debitore ceduto, salvo che la cessione sia vietata dalla legge o contraria alla natura del credito. La Cassazione, richiamando precedenti consolidati (Cass. 3917/2004; SS.UU. 28269/2005), ha ribadito che il credito retributivo è liberamente cedibile e che il datore di lavoro, debitore ceduto, è tenuto ad adempiere nei confronti del nuovo creditore (il sindacato), una volta ricevuta la notifica della cessione.
Quanto al D.P.R. n. 180/1950, originariamente volto a disciplinare la cessione del quinto dello stipendio, la Corte ha precisato che le modifiche legislative del 2004 e 2005 non hanno introdotto un divieto generale di cessione del credito retributivo, ma si sono limitate a restringere le condizioni per la cessione finalizzata all’estinzione di prestiti. L’art. 52 del decreto, nel testo vigente, consente espressamente la cessione per finalità diverse, come il pagamento di quote associative sindacali.
Condotta antisindacale e principio di plurioffensività
L’art. 28 dello Statuto dei lavoratori tutela l’attività sindacale contro qualsiasi comportamento del datore di lavoro idoneo a ostacolarne l’esercizio. La giurisprudenza di legittimità, in continuità con le Sezioni Unite del 2005, conferma che il comportamento antisindacale può consistere anche in un semplice inadempimento contrattuale, quando esso incide sull’effettività dell’azione sindacale.
La decisione del 2025 valorizza il concetto di plurioffensività della condotta antisindacale:
- da un lato, il rifiuto datoriale lede i lavoratori, privandoli della libertà di scegliere e sostenere economicamente il sindacato di appartenenza; 
- dall’altro, compromette la capacità del sindacato di esercitare la propria funzione costituzionalmente garantita (art. 39 Cost.), sottraendogli risorse essenziali per l’attività di tutela collettiva. 
Il giudice di legittimità sottolinea inoltre che non assume rilievo la mancata sottoscrizione del contratto collettivo da parte del sindacato interessato: la cessione del credito è un negozio civilistico autonomo e non presuppone l’esistenza di relazioni industriali formalizzate.
Implicazioni pratiche per aziende e professionisti
La pronuncia offre spunti rilevanti sul piano operativo, imponendo alle imprese e ai consulenti del lavoro una particolare attenzione nella gestione delle deleghe sindacali e delle trattenute in busta paga.
a) Obbligo di adempiere alla cessione
Una volta ricevuta la notifica della cessione di credito da parte dei lavoratori, il datore di lavoro deve provvedere alle trattenute e ai versamenti in favore del sindacato cessionario, salvo che dimostri un concreto e insostenibile aggravio organizzativo. La semplice difficoltà amministrativa non giustifica l’inadempimento.
b) Neutralità datoriale e rischio discriminatorio
Il rifiuto di eseguire le trattenute per una specifica organizzazione, quando vengono effettuate per altre, può integrare anche un comportamento discriminatorio, vietato dagli artt. 15 e 17 dello Statuto dei lavoratori.
c) Prova degli oneri aggiuntivi
L’azienda che ritenga di sostenere costi non sostenibili per la gestione delle trattenute deve fornirne prova rigorosa. In mancanza, il rifiuto sarà considerato illegittimo e fonte di responsabilità antisindacale.
d) Ruolo dei consulenti del lavoro e degli HR manager
I professionisti che gestiscono gli adempimenti retributivi devono verificare la correttezza formale della cessione (esistenza della delega, notifica regolare, identificazione del beneficiario) e aggiornare le procedure interne per garantire l’esecuzione puntuale delle trattenute. È opportuno prevedere protocolli aziendali uniformi per la gestione delle comunicazioni sindacali.
Conclusioni operative
La Cassazione, con l’ordinanza n. 27722/2025, consolida un orientamento ormai costante: la cessione del credito retributivo a favore del sindacato è pienamente lecita e il datore di lavoro non può sottrarsi al relativo obbligo di versamento, pena la configurazione di condotta antisindacale ex art. 28 St. lav.
La decisione si inserisce in una prospettiva di rafforzamento del pluralismo sindacale, garantendo a tutte le organizzazioni, indipendentemente dalla loro rappresentatività contrattuale, la possibilità di sostenersi economicamente mediante il contributo dei propri iscritti.
Per le aziende, il messaggio è chiaro:
- ogni richiesta di trattenuta o cessione deve essere gestita nel rispetto dei principi di parità e correttezza; 
- eventuali difficoltà operative non giustificano l’inadempimento, salvo prova di un onere oggettivamente sproporzionato; 
- il mancato adempimento può comportare non solo la declaratoria di antisindacalità, ma anche ordini giudiziali di rimozione degli effetti, obblighi di pagamento retroattivo e sanzioni in termini di spese processuali. 
La Corte riafferma un equilibrio fondamentale tra libertà sindacale e autonomia privata, riconoscendo che la partecipazione economica dei lavoratori all’attività del sindacato è espressione diretta dei diritti costituzionali di associazione e rappresentanza.
Il datore di lavoro è chiamato, dunque, a un ruolo di neutralità attiva, quale garante dell’effettività dei diritti sindacali nell’organizzazione produttiva.


