Diritto di Famiglia
Tutela del minore e qualificazione dei maltrattamenti tra ambito penale e civile
Avv. Francesco Cervellino
11/17/2025


L’elaborazione della nozione di maltrattamenti in famiglia continua a rappresentare un nodo interpretativo di primaria rilevanza sia sul versante penalistico sia nell’ambito dei giudizi sulla responsabilità genitoriale. La recente giurisprudenza di legittimità ha chiarito, con particolare nettezza, l’estensione degli obblighi di protezione verso il minore testimone di episodi di violenza domestica e la portata dello ius puniendi nei confronti del genitore responsabile di condotte lesive, anche solo in forma psicologica. In questo quadro, la sentenza n. 36072 del 2025 assume valore paradigmatico nel definire la configurabilità del delitto di cui all’art. 572 del codice penale e nell’individuare le ricadute della condotta maltrattante sulle valutazioni compiute dal giudice civile in materia di affidamento e diritto di visita. La prospettiva unitaria adottata dalla Corte permette di ricomporre l’apparente frizione tra le pronunce penali e gli accertamenti civili, sottolineando come entrambi gli ambiti giurisdizionali convergano verso la tutela sostanziale della dignità della vittima e del miglior interesse del minore.
Nella motivazione della citata pronuncia, la Corte osserva che il reato di maltrattamenti si caratterizza come illecito a struttura abituale, nel quale la reiterazione di condotte vessatorie, fisiche o psicologiche, delinea un regime di vita degradante e incompatibile con il rispetto della persona. Tale ricostruzione consente di includere nella fattispecie anche comportamenti non necessariamente integranti autonomi reati, purché idonei a ledere la dignità della vittima attraverso offese reiterate, svalutazioni, minacce o atti di disprezzo. È significativo che la Corte ribadisca come la qualità del rapporto familiare non venga meno con la separazione personale, poiché il coniuge rimane persona della famiglia sino allo scioglimento degli effetti civili del matrimonio. Ne deriva che la prosecuzione delle condotte vessatorie anche dopo la cessazione della convivenza conserva piena rilevanza ai fini dell’integrazione della fattispecie. A ciò si aggiunge la considerazione che ogni successivo episodio si salda ai precedenti, costituendo una progressione unitaria che incide sulla determinazione del momento consumativo del reato e, conseguentemente, sul regime prescrizionale introdotto dalla legge n. 172 del 2012.
I documenti di supporto confermano la centralità del tema della violenza assistita e la progressiva valorizzazione del danno indiretto arrecato al minore. Si richiama, a tal proposito, l’orientamento secondo cui il bambino costretto ad assistere a episodi di violenza o aggressività subisce una compromissione grave e durevole del proprio equilibrio emotivo. I giudici ribadiscono, inoltre, che l’eventuale archiviazione dei procedimenti penali non incide sull’autonomo apprezzamento del giudice civile, il quale può ravvisare comunque condotte pregiudizievoli ai fini della responsabilità genitoriale. Il principio di separazione tra gli accertamenti dei due giudici non comporta disallineamenti interpretativi, ma consente piuttosto una più ampia tutela sostanziale del minore, evitando che la mancanza di prova penale oltre ogni ragionevole dubbio impedisca l’adozione di misure protettive in sede civile.
Il giudice civile è pertanto chiamato a valutare non solo la materialità delle condotte violente, ma anche la loro idoneità a compromettere l’idoneità genitoriale. Si evidenzia come l’ampia accezione di violenza domestica recepita dalla Convenzione di Istanbul – comprendente forme fisiche, psicologiche, economiche e ambientali – imponga un apprezzamento sostanziale, al di là della tipicità penalistica. In tale prospettiva, appare legittimo limitare o sospendere il diritto di visita quando siano accertati comportamenti aggressivi, anche in assenza di lesioni fisiche e indipendentemente dall’esito dei procedimenti penali. La prevalenza del best interest of the child orienta quindi la scelta delle misure più adeguate, incluse quelle di carattere interdittivo, quali il divieto di avvicinamento o la sospensione degli incontri tra genitore e figlio.
Le conclusioni della sentenza n. 36072 del 2025 ribadiscono un modello sistematico nel quale il reato di maltrattamenti trascende la dimensione esclusivamente fisica della violenza, comprendendo pienamente le condotte che minano l’integrità morale della vittima e generano un clima familiare oppressivo e intimidatorio. L’estensione delle tutele in favore del minore testimone di tali condotte rappresenta un approdo essenziale nella costruzione di un ordinamento coerente con gli obblighi internazionali assunti e con i principi costituzionali di protezione della dignità umana. Appare evidente che la collaborazione interpretativa tra giudice penale e giudice civile costituisca la chiave per impedire che lacune probatorie o divergenze formali possano tradursi in un arretramento della tutela delle persone vulnerabili. La prospettiva integrata adottata dalla giurisprudenza più recente conferma dunque la necessità di considerare la violenza domestica come fenomeno unitario, a partire dal suo impatto sui figli minori, e di garantire misure tempestive e proporzionate volte a preservare un ambiente di crescita sano e rispettoso dei diritti fondamentali.
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