Diritto dell'economia e dell'impresa
La qualificazione del rapporto tra agenzia e procacciamento d’affari nella recente giurisprudenza di legittimità
Avv. Francesco Cervellino
10/31/2025


La recente ordinanza n. 27571 del 16 ottobre 2025 della Corte di cassazione rappresenta un nuovo e significativo tassello nel complesso quadro interpretativo volto a distinguere il contratto di agenzia dal procacciamento d’affari. La pronuncia, inserendosi in una linea ormai consolidata, riafferma la centralità del criterio della stabilità e continuità della collaborazione quale elemento dirimente ai fini della qualificazione del rapporto, con importanti riflessi in materia previdenziale e contributiva. Il caso trae origine dal contenzioso tra un’impresa e l’ente previdenziale degli agenti e rappresentanti di commercio, in merito all’obbligo di iscrizione e versamento dei contributi per soggetti qualificati dall’impresa come procacciatori occasionali. La Suprema Corte, rigettando il ricorso, conferma l’impostazione della Corte d’appello di Roma, secondo cui la relazione intrattenuta con tali intermediari presentava tutti i tratti tipici del contratto di agenzia, non potendo essere ricondotta a una mera attività di procacciamento.
L’inquadramento normativo del contratto di agenzia, disciplinato dagli articoli 1742 e seguenti del Codice civile, evidenzia il carattere professionale e continuativo dell’attività dell’agente, chiamato a promuovere, per conto del preponente, la conclusione di contratti in una zona determinata. Tale attività si distingue per la stabilità dell’incarico e per l’inserimento dell’agente nell’organizzazione commerciale dell’impresa mandante, pur nella piena autonomia gestionale. L’agente, inoltre, assume il rischio economico dell’attività svolta e percepisce una provvigione proporzionale agli affari conclusi. Il procacciatore d’affari, figura atipica di origine pretoria, ne costituisce invece un modello residuale e flessibile, caratterizzato dall’occasionalità e dalla libertà d’iniziativa. Egli agisce senza vincolo di stabilità, non dispone di poteri di rappresentanza e si limita a segnalare potenziali clienti o affari al preponente, percependo un compenso solo se la transazione si conclude.
La Corte di cassazione, coerentemente con il proprio orientamento, ha ribadito che la qualificazione giuridica di un rapporto non dipende dalla denominazione formale attribuita dalle parti, ma dal concreto atteggiarsi della collaborazione. L’analisi deve dunque privilegiare gli elementi fattuali che ne delineano la natura sostanziale. Nel caso di specie, la presenza di lettere d’incarico contenenti l’assegnazione di specifiche aree territoriali, la previsione di clausole di continuità stagionale e la regolarità dei compensi provvigionali hanno consentito di riconoscere un rapporto stabile e duraturo, tipico dell’agenzia. Particolarmente rilevante è il richiamo operato dalla Corte ai principi consolidati secondo cui la sussistenza di un vincolo di stabilità e la reiterazione dell’attività promozionale nel tempo integrano i presupposti essenziali dell’articolo 1742 del Codice civile. Laddove, invece, l’attività si limiti alla mera raccolta di ordinativi o alla segnalazione di affari occasionali, senza coordinamento con il preponente e senza una zona di competenza, si ricade nell’ambito del procacciamento.
Il valore della decisione non risiede soltanto nella ricostruzione dei criteri distintivi tra le due figure, ma anche nell’attenzione riservata al regime previdenziale connesso all’attività di intermediazione commerciale. La Cassazione riafferma infatti che, ai fini dell’iscrizione presso l’ente previdenziale di categoria, ciò che rileva non è la qualificazione contrattuale dichiarata, bensì la sostanza del rapporto, desumibile dalla continuità della collaborazione e dalla dipendenza economica del soggetto. In questo senso, la pronuncia si pone in linea con precedenti che valorizzano la finalità di tutela insita nel sistema previdenziale, volto ad assicurare la copertura contributiva a coloro che, pur operando formalmente come autonomi, esercitano di fatto un’attività di intermediazione stabile e professionale.
L’ordinanza, inoltre, affronta il tema dell’interpretazione dei regolamenti interni degli enti previdenziali categoriali, ribadendo che tali atti hanno natura negoziale e non normativa in senso proprio, sicché eventuali violazioni vanno denunciate non come violazioni di legge, ma secondo i criteri ermeneutici previsti dall’articolo 1362 del Codice civile. Tale precisazione conferma l’orientamento della giurisprudenza di legittimità nel qualificare i regolamenti delle casse professionali come atti di autonomia privata sottoposti ad approvazione ministeriale, ma non per questo assimilabili a fonti normative.
La sentenza in commento offre dunque un contributo significativo sul piano sistematico, ponendo al centro il principio di prevalenza della realtà effettiva rispetto alla forma contrattuale. L’indagine giudiziale, in tal senso, deve orientarsi verso una verifica sostanziale delle modalità di svolgimento dell’attività, della durata della collaborazione e dell’inserimento dell’intermediario nell’organizzazione dell’impresa. La distinzione tra agente e procacciatore non è meramente terminologica, ma comporta conseguenze rilevanti in termini di obblighi contributivi, diritti economici e tutele contrattuali. L’agente beneficia, ad esempio, delle garanzie previste dall’articolo 1751 del Codice civile in materia di indennità di cessazione, istituto inapplicabile al procacciatore proprio in ragione dell’assenza di stabilità.
Sotto il profilo economico-giuridico, l’ordinanza 27571/2025 richiama gli operatori alla necessità di una corretta impostazione contrattuale dei rapporti di intermediazione, evitando improprie qualificazioni che possano generare contenziosi onerosi in materia previdenziale. L’esigenza di certezza giuridica, unita al principio di effettività, impone alle imprese una valutazione preventiva della natura dell’attività affidata agli intermediari, distinguendo accuratamente tra rapporti continuativi e occasionali. In prospettiva sistematica, la decisione contribuisce a consolidare un modello interpretativo coerente con l’evoluzione del mercato, in cui la linea di confine tra collaborazione stabile e attività autonoma occasionale tende a farsi sempre più sottile, ma non per questo meno rilevante sotto il profilo giuridico.
La pronuncia in esame conferma che nel diritto dell’intermediazione commerciale la sostanza del rapporto prevale sulla sua forma. La qualificazione giuridica deve fondarsi su un accertamento concreto delle modalità di svolgimento dell’attività, del grado di continuità e dell’inserimento nell’organizzazione del preponente. Solo attraverso una rigorosa analisi fattuale è possibile garantire equilibrio tra autonomia contrattuale e tutela previdenziale, preservando al contempo la certezza dei rapporti giuridici e la correttezza del mercato.
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