Diritto dell'economia e dell'impresa

Denuncia al tribunale e azione del socio nelle S.r.l.

Avv. Francesco Cervellino

11/17/2025

L’estensione del rimedio di cui all’art. 2409 c.c. alle società a responsabilità limitata, per effetto dell’intervento sul sistema operato dal Codice della crisi d’impresa, ha riaperto il dibattito sul coordinamento tra tale istituto e l’azione individuale del socio disciplinata dall’art. 2476, comma 3, c.c. Le due norme, pur condividendo il presupposto delle “gravi irregolarità nella gestione”, muovono da logiche di tutela profondamente differenti e operano su piani che solo in apparenza risultano sovrapponibili. Un recente provvedimento di merito ha offerto l’occasione per una lettura sistematica che consente di precisarne l’ambito applicativo, evitando derive strumentali e sovrapposizioni improprie tra controllo giudiziale e poteri di reazione del singolo socio.

Sul piano normativo, l’art. 2409 c.c. è posto a presidio della regolare gestione dell’attività di impresa, in una prospettiva che trascende l’angolo visuale del singolo socio o della stessa società. La norma, inquadrata nella disciplina delle società per azioni, è stata resa applicabile a tutte le S.r.l. attraverso il rinvio operato dall’art. 2477 c.c., come modificato dall’art. 379, comma 2, del d.lgs. 14/2019. Si è così inteso riaffermare, anche per le S.r.l., un meccanismo di vigilanza giudiziale a forte connotazione pubblicistica, idoneo a garantire che la corporate governance non degeneri in una mala gestio idonea a propagare effetti negativi sul mercato, sui creditori e, più in generale, sui terzi che interagiscono con l’impresa.

Diversa è la fisionomia dell’azione del socio prevista dall’art. 2476, comma 3, c.c., che si colloca nel perimetro dei rimedi endosocietari. Il socio – anche unico e non amministratore – agisce in giudizio per far valere la responsabilità degli amministratori, allegando e provando che condotte contrarie alla legge o allo statuto abbiano cagionato un danno concreto alla società, ovvero espongano la stessa al pericolo di un suo aggravamento. La legittimazione individuale, che costituisce uno dei tratti distintivi del modello di S.r.l., si accompagna a una funzione essenzialmente repressiva e risarcitoria, cui può aggiungersi, in via cautelare, la revoca degli amministratori convenuti.

Il confronto tra i due istituti mette in luce, in primo luogo, la diversità di interessi protetti. L’art. 2476, comma 3, c.c. tutela l’interesse della società – e solo indirettamente quello dei soci – al ripristino della legalità violata e alla reintegrazione del patrimonio leso. L’art. 2409 c.c., invece, presidia un interesse generale al corretto andamento della gestione, nel quale si compendiano gli interessi dei soci di minoranza, dei creditori sociali e del mercato nel suo complesso. In questa prospettiva, la nozione di “gravi irregolarità” assume connotazioni differenti: nel primo caso, essa si traduce in fatti commissivi od omissivi produttivi di danno; nel secondo, rilevano irregolarità anche solo potenzialmente idonee a compromettere la regolarità della gestione e a riflettersi sull’affidamento dei terzi.

Sul piano procedimentale, l’azione ex art. 2476, comma 3, c.c. si colloca nell’ambito di un ordinario giudizio di cognizione, soggetto alle regole probatorie tipiche dell’accertamento di responsabilità. Il socio attore deve articolare compiutamente le contestazioni, offrire la prova del nesso causale tra condotta e pregiudizio, nonché dimostrare l’attualità o imminenza del danno. Il procedimento ex art. 2409 c.c., per contro, è strutturato come procedimento di volontaria giurisdizione: il giudice è chiamato a verificare l’esistenza di un “fondato sospetto” di gravi irregolarità e dispone di poteri officiosi ampi, dall’ispezione della società all’adozione di provvedimenti urgenti, fino alla possibile sostituzione degli amministratori con un amministratore giudiziario nei casi più gravi. Ciò non comporta, tuttavia, un sindacato sul merito delle scelte imprenditoriali, che restano riservate all’organo gestorio, ma solo un controllo sulla loro conformità a legge e statuto.

La ricostruzione sistematica suggerita dalla giurisprudenza di merito esclude che l’innesto dell’art. 2409 c.c. nel tessuto della S.r.l. abbia trasformato tale rimedio in uno strumento surrogatorio dell’azione ex art. 2476, comma 3, c.c. L’accesso al procedimento di denuncia al tribunale non può essere utilizzato per eludere l’onere probatorio più gravoso che incombe sul socio attore nell’azione di responsabilità, né per perseguire finalità meramente emulative o defatigatrici nei confronti dell’organo gestorio. È richiesto che le irregolarità denunciate siano attuali e tali da rendere non più tollerabile la loro persistenza in capo a soggetti che continuano a rivestire incarichi gestori, con il concreto pericolo che la mala gestio si riverberi sull’ordinato funzionamento del mercato.

In tale quadro, i due rimedi devono essere qualificati come autonomi e, al tempo stesso, potenzialmente complementari. Il socio che intenda reagire a una gestione illegittima potrà scegliere se privilegiare la via endosocietaria dell’azione di responsabilità, ove persegua principalmente la reintegrazione del patrimonio sociale e la rimozione degli amministratori, oppure sollecitare il controllo giudiziale ex art. 2409 c.c. quando reputi prevalente l’esigenza di ristabilire condizioni di regolarità gestionale idonee a rassicurare il mercato e gli stakeholders. Nulla impedisce, in linea teorica, un utilizzo parallelo dei due strumenti, purché ciascuno sia attivato nel rispetto della propria ratio e dei relativi presupposti.

L’innesto del rimedio di denuncia al tribunale nel modello della S.r.l. non svuota di significato la centralità dei poteri individuali del socio, ma ne completa la trama, arricchendo la corporate governance di un ulteriore livello di tutela a vocazione pubblicistica. La correttezza dell’inquadramento dogmatico assume rilievo pratico significativo: da un lato, consente di prevenire abusi dello strumento ex art. 2409 c.c., impedendo che esso venga piegato a logiche conflittuali interne; dall’altro, offre alla giurisprudenza criteri per calibrare l’intervento giudiziale, limitandolo ai casi in cui la gravità e l’attualità delle irregolarità rendano necessario salvaguardare non solo la società, ma anche l’interesse generale al buon funzionamento del mercato.

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