Diritto dell'economia e dell'impresa

La responsabilità del socio non amministratore nella S.r.l. tra ingerenza gestionale e dolo intenzionale. Cassazione 32545/2025

Avv. Francesco Cervellino

12/20/2025

L’evoluzione della disciplina delle società a responsabilità limitata ha progressivamente inciso sull’equilibrio tradizionale tra proprietà e gestione, attribuendo al socio un ruolo che, pur restando formalmente distinto da quello dell’amministratore, può assumere una rilevanza determinante nelle scelte operative dell’impresa. In tale contesto si colloca l’interpretazione dell’art. 2476, ottavo comma, cod. civ., disposizione che consente di estendere al socio non amministratore la responsabilità per i danni cagionati alla società, agli altri soci o ai terzi, qualora egli abbia intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti di gestione dannosi. La recente elaborazione giurisprudenziale offre l’occasione per riflettere in modo sistematico sui presupposti oggettivi e soggettivi di tale responsabilità, nonché sulle sue implicazioni nel governo dell’impresa.

La norma in esame si inserisce nel più ampio disegno di riforma del 2003, che ha trasformato la S.r.l. da modello semplificato di società per azioni a tipo autonomo, caratterizzato da una maggiore personalizzazione del rapporto sociale. L’ampliamento dei diritti amministrativi del socio, in particolare dei poteri di controllo e di informazione, ha determinato un avvicinamento funzionale alle società di persone, pur nel mantenimento della natura capitalistica dell’ente. Da tale assetto discende l’esigenza di presidiare il rischio che l’intensità del coinvolgimento del socio nella vita sociale si traduca in un’ingerenza sostanziale nella gestione, idonea a incidere negativamente sull’interesse sociale e sulla tutela dei creditori. In questa prospettiva, la responsabilità solidale del socio non amministratore rappresenta uno strumento eccezionale, volto a sanzionare condotte che travalicano il fisiologico esercizio dei diritti partecipativi.

L’analisi della fattispecie normativa richiede, in primo luogo, la ricostruzione del presupposto oggettivo della responsabilità. Non è sufficiente la mera qualità di socio, né l’esercizio di prerogative assembleari tipiche. Occorre, invece, l’accertamento di un comportamento qualificabile come gestorio, vale a dire di una decisione o autorizzazione che si inserisca direttamente nel processo decisionale proprio dell’organo amministrativo. Tale comportamento può manifestarsi tanto attraverso atti formali quanto mediante strumenti negoziali o accordi che, pur esterni alla struttura organica, siano idonei a orientare in modo determinante l’azione degli amministratori. In questa prospettiva, il nesso causale tra l’ingerenza del socio e l’atto dannoso costituisce elemento imprescindibile, dovendosi dimostrare che l’intervento del socio abbia concretamente condizionato la scelta gestoria poi rivelatasi pregiudizievole.

Sul piano soggettivo, la disposizione introduce un requisito particolarmente rigoroso, rappresentato dall’intenzionalità della condotta. L’avverbio utilizzato dal legislatore delimita in modo netto l’ambito applicativo della norma, escludendo che la responsabilità del socio possa fondarsi su mere omissioni, su comportamenti negligenti o su una colpa, anche grave, nell’esercizio dei poteri di controllo. È richiesta, invece, una consapevolezza piena e preordinata dell’ingerenza, accompagnata dalla volontà di incidere sulla gestione sociale. Tale configurazione riconduce la responsabilità del socio nell’alveo del dolo, inteso come rappresentazione e volizione dell’atto di interferenza gestionale, senza che sia necessario accertare una specifica finalità di danno.

Questa ricostruzione appare coerente con la struttura della S.r.l. quale società di capitali, nella quale la distinzione tra organi resta principio cardine. La possibilità di estendere la responsabilità al socio non amministratore costituisce, pertanto, una deroga eccezionale, giustificata solo in presenza di un’effettiva sovrapposizione funzionale tra il ruolo del socio e quello dell’amministratore. In tale ottica, la responsabilità solidale si fonda non solo sull’identità del danno, ma anche sull’identità della causa dell’obbligazione, individuata nel concorso del socio in un’attività tipicamente gestoria.

La concreta applicazione di tali principi richiede un accertamento rigoroso in sede di merito, volto a verificare la natura delle operazioni contestate e il grado di coinvolgimento del socio. Particolare rilievo assume la valutazione del contesto economico e finanziario in cui l’ingerenza si colloca, soprattutto nei casi in cui la società versi in una situazione di perdita del capitale o di prossimità allo scioglimento. In tali circostanze, l’intervento del socio, lungi dall’essere neutro, può assumere una valenza decisiva nel determinare la prosecuzione dell’attività o l’adozione di operazioni antieconomiche, con conseguente aggravamento del dissesto e pregiudizio per i creditori.

La responsabilità del socio non amministratore ex art. 2476, ottavo comma, cod. civ. si configura come istituto di equilibrio tra l’esigenza di valorizzare il ruolo attivo del socio nella S.r.l. e la necessità di evitare che tale ruolo si traduca in una gestione occulta e irresponsabile. La rigorosa delimitazione dei presupposti oggettivi e soggettivi, in particolare l’esigenza del dolo intenzionale, consente di preservare la distinzione organica propria delle società di capitali, riservando l’estensione della responsabilità ai soli casi in cui il socio assuma, di fatto, la veste di co-gestore. Tale impostazione offre un quadro interpretativo chiaro e sistematicamente coerente, destinato a incidere in modo significativo sulle pratiche di governance e sulla redazione degli assetti negoziali interni alla compagine sociale.

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