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Diritto dell’economia e dell’impresa

La Corte costituzionale e la tutela della concorrenza nel servizio NCC: profili di proporzionalità e riparto di competenze tra Stato e Regioni

Avv. Francesca Coppola

11/6/2025

1. Premessa: la dimensione costituzionale della regolazione economica

La sentenza n. 163 del 2025 della Corte costituzionale, pronunciata in esito al conflitto di attribuzione tra lo Stato e la Regione Calabria, costituisce un punto di snodo rilevante nel quadro dei rapporti tra il principio della tutela della concorrenza e le competenze regionali in materia di trasporto pubblico locale. Essa si colloca in continuità con l’orientamento espresso dalla Corte a partire dalla sentenza n. 56 del 2020 e confermato da successive pronunce, volte a delimitare il perimetro funzionale della competenza statale in materia economica, impedendone l’uso improprio a detrimento dell’autonomia territoriale.

Il caso trae origine dal decreto interministeriale n. 226 del 16 ottobre 2024, emanato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministero dell’interno, e volto a disciplinare le modalità di tenuta del foglio di servizio elettronico (FDSE) per il noleggio con conducente (NCC). L’atto normativo, lungi dal limitarsi a determinare specifiche tecniche, aveva introdotto obblighi e restrizioni sostanziali incidenti sulla libertà organizzativa e contrattuale degli operatori economici, riproponendo in via surrettizia forme di controllo già dichiarate incostituzionali. La Regione Calabria, ritenendo lesa la propria competenza residuale in materia di trasporto pubblico locale e turismo, ha sollevato conflitto di attribuzione, lamentando altresì la violazione dei principi di proporzionalità, ragionevolezza e leale collaborazione.

2. L’inquadramento delle competenze e la natura “trasversale” della tutela della concorrenza

La Corte costituzionale, nel delineare il quadro teorico di riferimento, ha riaffermato che la tutela della concorrenza costituisce una competenza legislativa esclusiva dello Stato (art. 117, secondo comma, lett. e), Cost.), avente natura finalistica e trasversale. Ciò implica che essa può intersecare altri ambiti materiali, ivi compresi quelli di spettanza regionale, purché l’intervento statale risulti funzionalmente orientato a garantire condizioni di equilibrio concorrenziale e non si traduca in un’ingerenza diretta sull’assetto organizzativo dei servizi locali.

La Corte ha ribadito che la materia del trasporto pubblico locale rientra, invece, nella competenza residuale delle Regioni ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost., comprendendo la disciplina di tutti i servizi pubblici non di linea, tra i quali si annoverano i servizi NCC. Il confine tra le due sfere di competenza, come chiarito anche nelle sentenze nn. 206/2024 e 62/2025, deve essere tracciato secondo il criterio della proporzionalità, principio immanente al sistema costituzionale e funzionale a impedire che l’intervento statale, pur legittimamente orientato a fini concorrenziali, comporti un’irragionevole compressione dell’autonomia regionale.

In questa prospettiva, la Corte ha sottolineato che la concorrenza non può essere intesa come valore assoluto, ma come principio funzionale, da contemperare con l’esigenza di efficienza e adeguatezza dell’azione amministrativa regionale. La “tutela della concorrenza”, pertanto, non legittima interventi statali di tipo conformativo o regolatorio in materie già devolute alla potestà regionale, se non nei limiti strettamente necessari alla prevenzione di distorsioni del mercato.

3. Il principio di proporzionalità quale parametro di legittimità costituzionale

La Corte ha individuato nella violazione del principio di proporzionalità il vizio strutturale dell’intervento statale. Il decreto interministeriale e le successive circolari ministeriali, anziché perseguire finalità antielusive in modo equilibrato, avevano introdotto misure sproporzionate, tali da produrre un effetto di sostanziale paralisi dell’attività economica.

In particolare, l’imposizione di un intervallo minimo di venti minuti tra la prenotazione e l’inizio del servizio NCC, per le corse con partenza da luogo diverso dalla rimessa, è stata ritenuta priva di base legale e manifestamente eccedente rispetto alla finalità di garantire la differenziazione tra servizio NCC e servizio taxi. Tale previsione, infatti, reintroduceva indirettamente l’obbligo di rientro in rimessa, già dichiarato incostituzionale con la sentenza n. 56 del 2020 per contrasto con i principi di ragionevolezza e proporzionalità. La misura, lungi dal tutelare la concorrenza, generava un aggravio gestionale e ambientale, costringendo gli operatori a spostamenti “a vuoto” e incidendo negativamente sull’efficienza del servizio.

La Corte ha altresì censurato la disposizione che escludeva la possibilità di stipulare contratti di durata con soggetti che svolgessero, anche solo indirettamente, attività di intermediazione, rilevando che una simile clausola restrittiva travalicava la finalità concorrenziale per comprimere ingiustificatamente la libertà contrattuale. La preclusione verso operatori turistici, alberghi e agenzie di viaggio risultava incompatibile con il principio di autonomia negoziale e con la libertà d’iniziativa economica sancita dall’art. 41 Cost., poiché impediva di strutturare rapporti di collaborazione stabile funzionali al mercato del turismo.

Ancora più significativa, ai fini sistemici, è la censura all’obbligo di utilizzo esclusivo dell’applicazione informatica ministeriale per la tenuta del FDSE. La Corte ha sottolineato che la centralizzazione tecnologica, imposta in modo vincolante, viola il principio europeo di neutralità tecnologica e non rispetta il canone di proporzionalità, in quanto esclude soluzioni interoperabili ugualmente idonee a garantire la tracciabilità e la trasparenza del servizio. La gestione esclusiva da parte del Ministero, in assenza di coinvolgimento regionale, realizza una forma di accentramento tecnologico contrario alla logica del pluralismo amministrativo e alla libertà di iniziativa economica.

4. Autonomia regionale, leale collaborazione e limiti dell’amministrazione digitale

Pur dichiarando assorbita la questione concernente la violazione del principio di leale collaborazione, la Corte ha indirettamente riaffermato l’esigenza di un corretto coinvolgimento delle Regioni nel processo regolatorio, specie quando l’atto statale incida su materie di competenza locale. Il principio di leale collaborazione assume, in questo senso, una funzione sistemica di coordinamento e di equilibrio, garantendo la coerenza tra il pluralismo territoriale e l’unità del mercato.

La sentenza si colloca altresì nel solco della giurisprudenza che riconosce alla digitalizzazione amministrativa un ruolo strumentale, non sostitutivo, della competenza territoriale. L’amministrazione digitale, infatti, non può tradursi in un monopolio statale della gestione informatica, ma deve rispettare la pluralità degli attori istituzionali e garantire interoperabilità, trasparenza e accesso. In tal senso, la Corte valorizza implicitamente la diligenza professionale qualificata che deve ispirare l’attività normativa e amministrativa nel settore tecnologico, quale parametro di equilibrio tra innovazione, concorrenza e autonomia regionale.

5. Implicazioni economico–giuridiche e prospettive sistemiche

Dal punto di vista economico–istituzionale, la decisione n. 163/2025 assume una portata di rilievo, poiché riconduce la tutela della concorrenza entro i limiti funzionali di uno Stato regolatore che agisce non come attore del mercato, ma come garante di un ordinamento economico pluralista e multilivello. L’analisi della Corte evidenzia che la concorrenza, in quanto principio costituzionale, deve essere declinata in termini di equità, proporzionalità e rispetto dell’autonomia imprenditoriale.

Ne deriva che l’intervento statale, per essere legittimo, deve rispettare un equilibrio tra obiettivi di ordine pubblico economico e tutela della libertà di impresa, evitando di introdurre vincoli operativi che, sotto il pretesto di garantire la parità competitiva, finiscano per alterarla. In tale prospettiva, la decisione contribuisce a delineare un modello di governance economica cooperativa, nel quale la regolazione della concorrenza non può essere disgiunta dai principi di autonomia e responsabilità territoriale.

Il ragionamento della Corte si estende, inoltre, al rapporto tra concorrenza e innovazione tecnologica: l’imposizione di un’unica piattaforma informatica gestita dallo Stato è contraria alla logica di apertura e di mercato che la stessa normativa europea sull’intelligenza artificiale e sui servizi digitali mira a promuovere. L’adozione di sistemi interoperabili, aperti e verificabili costituirebbe, invece, una modalità più coerente con la funzione di garanzia della concorrenza, in linea con i principi del diritto dell’Unione e con il paradigma dell’amministrazione digitale policentrica.

6. Considerazioni conclusive

La pronuncia in commento si pone, dunque, come un manifesto della proporzionalità costituzionale quale criterio strutturale dell’azione regolatoria. La Corte, muovendo dal caso concreto del servizio NCC, riafferma che l’esercizio della competenza statale in materia economica deve essere ispirato a diligenza normativa e a leale cooperazione, elementi imprescindibili per preservare la razionalità del sistema delle competenze e la coerenza con i principi europei di concorrenza e libertà d’impresa.

Si osserva, in conclusione, che la decisione n. 163/2025 contribuisce a rilegittimare il ruolo delle Regioni come soggetti attivi della regolazione economica territoriale, chiamate a declinare la disciplina dei servizi pubblici non di linea in modo coerente con le esigenze di efficienza, sostenibilità e innovazione. Essa impone, al contempo, al legislatore statale di esercitare la propria potestà regolatoria con un grado di proporzionalità e di tecnicità adeguato, evitando interventi uniformi che, sotto l’apparenza di tutela della concorrenza, mascherino forme di centralismo amministrativo.

In tal modo, la Corte costituzionale restituisce al principio di concorrenza la sua dimensione originaria di garanzia, sottraendolo a una logica puramente quantitativa e riaffermando la necessità di un equilibrio dinamico tra unità del mercato e autonomia territoriale, tra libertà d’impresa e tutela dell’interesse pubblico, secondo un paradigma di governo multilivello che rappresenta oggi la cifra evolutiva del diritto costituzionale dell’economia.

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