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Diritto dell’economia e dell’impresa

La responsabilità penale dell’amministratore formale nel reato di dichiarazione infedele e il principio di proporzionalità nella confisca: osservazioni a margine della sentenza Cass. pen., sez. III, 21 ottobre 2025, n. 210

Avv. Francesca Coppola

10/21/2025

La recente decisione della Corte Suprema di Cassazione, Terza Sezione Penale, n. 210 del 2025, si colloca nel più ampio contesto della giurisprudenza penale-tributaria e si segnala per la lucidità argomentativa con cui affronta due questioni di rilevante spessore sistematico: da un lato, la configurabilità del dolo eventuale quale forma soggettiva idonea a sostenere la responsabilità nel delitto di dichiarazione infedele di cui all’art. 4 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74; dall’altro, la necessità di un vaglio giudiziale autonomo e puntuale circa la proporzionalità della confisca, intesa quale misura ablatoria incidentale alla condanna.

L’oggetto del giudizio trae origine da un ricorso proposto da un soggetto formalmente amministratore unico di una società, il quale lamentava di essere stato condannato per avere sottoscritto dichiarazioni fiscali predisposte da terzi, in un contesto nel quale la reale gestione economico-finanziaria dell’impresa era riconducibile ad altra persona, qualificata dai giudici di merito come dominus sostanziale dell’ente. La linea difensiva si fondava sulla dedotta inconsapevolezza dell’imputato e sulla sua funzione di mero prestanome, estraneo alla gestione effettiva e privo della scientia fraudis necessaria a integrare il dolo specifico del reato tributario contestato.

La Corte, nel ritenere infondati i motivi di ricorso concernenti la mancata acquisizione di documenti e la dedotta insussistenza dell’elemento soggettivo, ha precisato che l’eventuale omissione di deposito degli atti, laddove questi siano accessibili nel sistema informatico ministeriale TIAP (Trattamento informatico atti processuali), non integra una violazione del diritto di difesa, purché la parte abbia avuto la possibilità di consultarli. È stata, pertanto, riaffermata la piena utilizzabilità degli atti digitalizzati, il cui inserimento nel sistema informatico ministeriale produce gli effetti di conoscibilità e opponibilità propri degli atti ritualmente acquisiti. Tale interpretazione si inscrive nella più ampia evoluzione della processualità telematica e pone in risalto la responsabilità della difesa nell’esercizio di un controllo diligente e tecnicamente consapevole, conforme alla diligenza professionale qualificata che deve caratterizzare l’attività del difensore in ogni fase processuale.

Sul piano della colpevolezza, la pronuncia affronta con particolare rigore la questione della configurabilità del dolo eventuale nel reato di dichiarazione infedele. La Corte ha infatti ribadito che la volontà di conseguire un’evasione d’imposta, richiesta quale elemento costitutivo del dolo specifico, è compatibile con la rappresentazione e l’accettazione del rischio che la condotta dichiarativa possa determinare un’evasione effettiva. Tale lettura, già accolta con riferimento al delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2 del medesimo decreto legislativo), consente di superare un approccio eccessivamente formalistico e di valorizzare la dimensione psicologica della condotta in chiave sostanziale.

L’amministratore che, pur consapevole delle anomalie gestionali e dell’esistenza di un dominus occulto, accetti di mantenere la carica e di sottoscrivere le dichiarazioni fiscali, assume su di sé il rischio di contribuire all’evasione, integrando così il dolo eventuale. Tale impostazione risulta coerente con la funzione preventiva della norma penale tributaria e con il principio di culpa in vigilando, che impone a chi ricopre funzioni apicali di esercitare un controllo effettivo sull’operato dei collaboratori e sulla regolarità degli adempimenti fiscali. Non può pertanto ritenersi esente da responsabilità colui che, per ragioni di amicizia o convenienza personale, accetti la funzione di amministratore pur sapendo che la gestione reale è demandata ad altri, assumendo una posizione di mera copertura.

Questa interpretazione appare altresì in linea con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità che tende ad ampliare l’area della responsabilità penale degli organi societari, valorizzando la posizione di garanzia che l’amministratore riveste in virtù del suo ruolo. La consapevole inerzia rispetto a condotte fiscalmente illecite integra, infatti, una forma di partecipazione colposa qualificata dall’accettazione del rischio, in ossequio al principio secondo cui il dolo eventuale si ravvisa nella volontaria adesione al rischio di verificazione dell’evento, laddove l’agente, pur rappresentandoselo, non adotti condotte idonee a scongiurarlo.

Ben più rilevante, sotto il profilo dogmatico, risulta il passaggio della sentenza concernente la confisca, rispetto alla quale la Corte ha accolto il motivo di ricorso, censurando la decisione della Corte d’Appello per difetto di motivazione e mancato accertamento della proporzionalità. L’organo di legittimità ha ribadito che la misura ablatoria, pur costituendo una conseguenza della condanna, deve essere oggetto di un vaglio autonomo e non può essere meramente desunta dagli accertamenti dell’amministrazione finanziaria. La funzione della confisca, pur collocandosi tra le misure di sicurezza patrimoniali, presenta carattere sostanzialmente sanzionatorio, in quanto incide sul diritto di proprietà e sul patrimonio del condannato, richiedendo quindi un’analisi di proporzionalità e ragionevolezza conforme ai principi sanciti dall’art. 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) e dall’art. 27 della Costituzione.

La Corte ha dunque affermato la necessità di un accertamento giudiziale che tenga conto della posizione effettiva del soggetto, dell’apporto causale nella commissione del reato e dell’entità concreta del profitto conseguito, ponendo un limite al ricorso automatico a misure ablative di carattere generalizzato. Tale impostazione, oltre a garantire l’equilibrio tra funzione repressiva e tutela del diritto di proprietà, rappresenta un importante presidio contro derive punitive incompatibili con i principi del giusto processo e della responsabilità personale.

L’interesse sistematico della sentenza risiede proprio nell’equilibrio che essa propone tra esigenze di effettività della repressione e tutela delle garanzie individuali. La Corte ribadisce, da un lato, l’irrinunciabilità della responsabilità personale dell’amministratore che, pur non essendo gestore effettivo, abbia consapevolmente accettato di porsi in posizione di garanzia e di copertura; dall’altro, riafferma la necessità che le conseguenze patrimoniali della condanna siano commisurate al reale grado di partecipazione soggettiva e all’effettivo profitto conseguito.

Appare evidente come la pronuncia contribuisca ad affinare il principio di colpevolezza in ambito penal-tributario, declinando il favor rei in chiave di proporzionalità e di personalizzazione della sanzione. Essa conferma altresì il ruolo della Cassazione quale garante dell’equilibrio tra l’interesse erariale e la tutela dei diritti fondamentali dell’individuo, ponendo un argine a interpretazioni eccessivamente punitive della confisca e valorizzando la necessità di una motivazione specifica e individualizzata.

La decisione in commento non solo offre un contributo interpretativo di rilievo sul rapporto tra dolo eventuale e dolo specifico nei reati tributari, ma si pone anche quale importante richiamo metodologico alla centralità della motivazione giudiziale quale strumento di garanzia e di controllo della proporzionalità della sanzione patrimoniale. Il giudice penale è così chiamato a operare un delicato bilanciamento tra le esigenze di prevenzione e di repressione dell’evasione fiscale e la salvaguardia dei principi fondamentali dello Stato di diritto, in un contesto in cui la responsabilità dell’amministratore si misura non solo sulla base della condotta attiva, ma anche sulla capacità di esercitare una vigilanza conforme ai canoni della corretta amministrazione e della diligenza professionale qualificata.

Lo stesso intervento anche su studiocervellino.it