Diritto delle Procedure Esecutive
La tutela del giusto prezzo nell’esecuzione forzata immobiliare: riflessioni sull’art. 586 c.p.c. alla luce della giurisprudenza recente
Avv. Francesco Cervellino
11/4/2025


La disciplina delle vendite giudiziarie immobiliari costituisce uno dei settori più delicati del processo esecutivo, nel quale si intrecciano le esigenze di effettività del diritto del creditore con il principio di proporzionalità nella tutela del debitore. La recente pronuncia del Tribunale di Taranto del 10 settembre 2025 offre un rilevante contributo interpretativo in tema di prezzo vile e dei limiti alla libertà di aggiudicazione, evidenziando il ruolo del professionista delegato e del giudice dell’esecuzione nella salvaguardia del valore economico dei beni staggiti.
Inquadrando la questione nel contesto normativo, occorre ricordare che l’art. 586 del Codice di procedura civile attribuisce al giudice dell’esecuzione il potere di sospendere la vendita «quando ritiene che il prezzo offerto sia notevolmente inferiore a quello giusto». Tale disposizione, spesso considerata residuale rispetto alle garanzie procedimentali che precedono l’aggiudicazione, assume in realtà una funzione di chiusura del sistema, orientata a evitare che la realizzazione coattiva si traduca in un ingiustificato sacrificio patrimoniale del debitore. L’intervento giurisdizionale, in questa prospettiva, non mira a introdurre un controllo discrezionale sul valore, bensì a garantire che il prezzo di vendita mantenga un ragionevole rapporto con il valore di mercato del bene, come determinato nella fase estimativa.
Il caso sottoposto al Tribunale di Taranto trae origine da un’esecuzione immobiliare nella quale un bene, stimato in euro 241.500, è stato aggiudicato e successivamente trasferito per la somma di euro 52.500, pari al 21,74% del prezzo di stima. Il giudice ha ritenuto che una tale differenza configurasse un prezzo notevolmente inferiore a quello giusto, dichiarando la nullità tanto dell’aggiudicazione quanto del decreto di trasferimento. La pronuncia assume rilievo non solo per l’esito, ma soprattutto per il metodo di valutazione adottato: il giudice ha valorizzato il combinato disposto dell’art. 586 c.p.c. e dell’art. 108 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Legge Fallimentare), applicato per analogia legis ai sensi dell’art. 12 delle preleggi, nonché le linee guida desumibili dall’art. 1448 del Codice civile in materia di lesione oltre la metà. Tale coordinamento normativo permette di individuare un criterio sostanziale di equità nella determinazione del prezzo giudiziario, che si fonda sul rispetto della proporzione tra valore economico e valore di realizzo.
Particolarmente significativa è la posizione assunta nei confronti del professionista delegato alla vendita. Il Tribunale ha chiarito che, in virtù del ruolo di ausiliario del giudice, egli è tenuto a informare tempestivamente il giudice dell’esecuzione circa eventuali oscillazioni anomale del prezzo, specie quando queste si traducano in una riduzione tale da far presumere la violazione dell’art. 586 c.p.c. Il mancato adempimento di tale obbligo informativo determina un vulnus alla regolarità della procedura, incidendo sul corretto bilanciamento tra interesse dei creditori e tutela del debitore. Ne deriva che l’obbligo di vigilanza non si esaurisce nella mera esecuzione delle operazioni d’incanto, ma si estende alla salvaguardia della funzione economica e giuridica della vendita forzata.
La decisione tarantina si inserisce in un filone giurisprudenziale volto a recuperare una concezione sostanzialistica del giusto prezzo, contrapposta a interpretazioni meramente formali del meccanismo di ribasso progressivo. In tale ottica, la nozione di prezzo vile non si esaurisce in una soglia percentuale fissa, ma deve essere valutata in concreto, tenendo conto delle condizioni del mercato, dello stato del bene e delle spese necessarie per la sua regolarizzazione. Nel caso di specie, lo stimatore aveva già considerato le difformità edilizie e i relativi costi di sanatoria, rendendo ancor più evidente la sproporzione tra prezzo di stima e prezzo di aggiudicazione.
Sotto il profilo sistematico, il richiamo all’art. 164-bis delle disposizioni di attuazione del Codice di procedura civile – che consente la chiusura anticipata del processo esecutivo quando non sia più possibile conseguire un ragionevole soddisfacimento dei creditori – sottolinea come l’esecuzione forzata sia governata dal principio del minor sacrificio possibile per il debitore. Tale principio, che trova riscontro anche negli artt. 2911 c.c. e 483, 495 e 496 c.p.c., esclude la legittimità di una vendita che realizzi il credito a un prezzo anomalo, ponendo l’accento sul carattere funzionale e non punitivo della procedura esecutiva. Non esiste, come afferma la sentenza, un “diritto di fare del male” al debitore, ma soltanto quello di ottenere una soddisfazione proporzionata e giusta.
In prospettiva applicativa, la pronuncia offre spunti di riflessione sulle responsabilità dei diversi soggetti coinvolti nel processo esecutivo. Al professionista delegato spetta un compito di vigilanza attiva; al giudice dell’esecuzione compete il controllo finale di conformità alla legge e ai principi di equità; ai creditori è richiesto un comportamento collaborativo che non si traduca in un abuso dello strumento esecutivo. La sinergia di tali ruoli appare decisiva per assicurare che la vendita giudiziaria mantenga un equilibrio tra efficienza e giustizia sostanziale.
La decisione del Tribunale di Taranto segna dunque un passo importante nella definizione del perimetro di legittimità delle vendite coattive, riaffermando che l’efficienza del processo esecutivo non può essere perseguita a scapito del valore economico del bene e della dignità patrimoniale del debitore. In un contesto di crescente attenzione alla sostenibilità delle procedure concorsuali e alla razionalizzazione delle vendite giudiziarie, la valorizzazione del giusto prezzo si pone come principio cardine per una giustizia esecutiva equa, trasparente e coerente con i valori costituzionali di ragionevolezza e proporzionalità.
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