
Crisi d'Impresa
L’esdebitazione dell’incapiente e l’incompatibilità con le procedure esecutive pendenti: profili di diritto e giurisprudenza
Avv. Francesco Cervellino
11/7/2025

L’istituto dell’esdebitazione dell’incapiente, introdotto nell’ordinamento italiano dall’art. 283 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019), rappresenta una significativa evoluzione del diritto dell’insolvenza, finalizzata a consentire al debitore persona fisica privo di beni e di capacità reddituale di liberarsi dai debiti residui, riacquisendo una prospettiva economica e sociale. Tale meccanismo, che costituisce una deroga al principio generale della responsabilità patrimoniale sancito dall’art. 2740 c.c., impone un vaglio particolarmente rigoroso dei presupposti di ammissibilità, in quanto si pone in tensione con l’interesse dei creditori alla soddisfazione delle proprie ragioni.
Il decreto emesso dal Tribunale di Ivrea nel 2025 si colloca in questo contesto interpretativo, affrontando un nodo di grande rilievo sistematico: la compatibilità tra la procedura di esdebitazione dell’incapiente e la pendenza di un’esecuzione forzata, nella specie un pignoramento mobiliare sullo stipendio del debitore. La decisione del Collegio, che ha accolto il reclamo del creditore e revocato il precedente decreto di esdebitazione, fornisce una chiave ermeneutica rigorosa che si inscrive in un orientamento volto a preservare l’equilibrio tra tutela del debitore meritevole e salvaguardia del principio di effettività del credito.
Il Tribunale muove da una ricostruzione puntuale del dato normativo. L’art. 283 CCII consente l’esdebitazione solo al debitore persona fisica meritevole che “non sia in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, diretta o indiretta, nemmeno in prospettiva futura”. La novella del D.Lgs. 136/2024 ha precisato che la condizione di incapienza sussiste anche in presenza di un reddito non superiore all’assegno sociale, aumentato della metà e parametrato alla composizione del nucleo familiare secondo la scala ISEE. Ne deriva che l’incapienza deve essere intesa come una condizione oggettiva e non volontaria, da valutarsi in termini attuali e prospettici, e che esclude la possibilità per il debitore di destinare risorse, anche minime, alla soddisfazione del ceto creditorio.
Sotto il profilo della meritevolezza, l’art. 283, comma 7, richiede l’accertamento dell’assenza di dolo o colpa grave nella formazione dell’indebitamento e di atti in frode ai creditori. La giurisprudenza più recente, tra cui si richiamano pronunce dei Tribunali di Terni, Taranto e Bergamo, ha valorizzato una nozione evolutiva di meritevolezza, che tiene conto non solo della diligenza originaria nell’assunzione delle obbligazioni, ma anche del comportamento successivo del debitore, delle cause sopravvenute di indebitamento e del grado di consapevolezza del rischio assunto. Tale parametro, fortemente elastico, mira a distinguere la condotta del debitore incolpevole da quella del soggetto che abbia abusato del credito o agito con leggerezza inescusabile.
Nella vicenda esaminata dal Tribunale di Ivrea, il requisito soggettivo della meritevolezza è stato riconosciuto in capo al debitore, essendo emersa una situazione di difficoltà economica riconducibile a cause indipendenti dalla sua volontà, quali il mancato pagamento delle retribuzioni da parte del datore di lavoro. La valutazione negativa ha invece riguardato il requisito oggettivo dell’incapienza. Il giudice ha ritenuto che la presenza di un pignoramento mobiliare in corso, avente ad oggetto una quota dello stipendio, escludesse l’impossidenza richiesta dall’art. 283 CCII. Infatti, la sussistenza di un credito periodico aggredibile, sia pure nei limiti del quinto, costituisce una “utilità” suscettibile di soddisfare, almeno parzialmente, il credito residuo, rendendo incompatibile l’accesso alla procedura di esdebitazione.
Il Collegio ha così delineato una netta distinzione tra l’incapienza e la mera ridotta capacità reddituale: solo nel primo caso il debitore si trova in una condizione di assoluta impossibilità di offrire ai creditori alcuna utilità, mentre nel secondo permangono elementi patrimoniali o reddituali idonei a fondare una pretesa esecutiva. La pendenza di un’esecuzione, pertanto, evidenzia ex se l’esistenza di una risorsa utile, incompatibile con l’istituto dell’esdebitazione a costo zero. Tale impostazione appare coerente con la ratio dell’art. 283, che, diversamente dalle procedure di composizione o liquidazione, non prevede alcuna forma di soddisfazione, neppure minima, dei creditori, ma comporta la declaratoria di inesigibilità dei debiti pregressi.
In tal senso, il Tribunale ha opportunamente richiamato la differenza rispetto all’art. 70, comma 4, CCII, relativo all’omologazione del piano del consumatore, ove il legislatore ha previsto la sospensione delle procedure esecutive. L’assenza di analoga previsione nell’art. 283 conferma la natura non concorsuale dell’esdebitazione dell’incapiente e la sua applicabilità solo in situazioni di totale assenza di utilità patrimoniali. La presenza di un reddito aggredito, anche parzialmente, reintroduce, invece, un elemento di soddisfacibilità del credito incompatibile con la logica di totale remissione che caratterizza l’istituto.
L’arresto di Ivrea si colloca, così, nel solco di un orientamento rigoroso, volto a impedire un uso eccessivamente estensivo dell’esdebitazione e a salvaguardare la funzione di responsabilità patrimoniale del debitore. Laddove esistano utilità attuali o future, sia pure modeste, queste devono essere ricondotte a forme di liquidazione controllata o a piani di ristrutturazione, e non a una remissione integrale. Tale lettura, oltre a garantire coerenza sistematica, preserva l’equilibrio costituzionale tra diritto al minimo vitale e tutela del credito, evitando che l’esdebitazione si trasformi in un improprio strumento di elusione delle obbligazioni legittimamente assunte.
Il dibattito dottrinale appare destinato a concentrarsi sulla definizione della soglia di incapienza e sulla qualificazione delle utilità future, questioni che la normativa vigente lascia volutamente indeterminate. L’esperienza giurisprudenziale recente mostra come la linea di confine tra incapienza e mera insufficienza reddituale sia sottile e richieda valutazioni casistiche, fondate su un accertamento documentale accurato da parte dell’organismo di composizione della crisi.
La pronuncia in commento, pur collocandosi su un versante restrittivo, contribuisce a delineare un criterio di coerenza interpretativa: la meritevolezza soggettiva, pur necessaria, non è sufficiente in presenza di un reddito aggredibile, poiché l’istituto dell’esdebitazione presuppone la totale assenza di risorse distribuibili. L’esistenza di una procedura esecutiva pendente, dunque, esclude in radice la possibilità di accesso al beneficio. In questa prospettiva, la decisione del Tribunale di Ivrea offre un contributo di chiarezza al sistema, riaffermando che l’esdebitazione dell’incapiente resta un rimedio di carattere eccezionale, da applicarsi in modo rigoroso e limitato ai soli casi di effettiva e comprovata impossidenza.
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