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Contenzioso Tributario

Riproposizione dei motivi nel processo tributario. Cass. 32051/2025

Avv. Francesco Cervellino

12/11/2025

Il recente orientamento giurisprudenziale consente di approfondire il rapporto tra struttura impugnatoria del processo tributario e regime delle preclusioni, con particolare riguardo all’onere di riproposizione dei motivi assorbiti nel giudizio di primo grado. La pronuncia esaminata affronta una questione centrale nella dinamica del contenzioso d’imposta: la delimitazione del thema decidendum del giudizio di appello e il ruolo dell’appellato vittorioso nell’attivare il riesame delle questioni non affrontate dal giudice di prime cure. Il quadro normativo di riferimento, costruito attorno agli articoli 23, 54, 56 e 61 del decreto legislativo n. 546/1992, conferma la peculiare impostazione acceleratoria del processo tributario e la centralità degli atti introduttivi nella definizione dell’oggetto del gravame.

La pronuncia muove dal caso in cui una serie di motivi del ricorso originario fossero rimasti assorbiti a seguito dell’accoglimento, da parte del giudice di primo grado, di un motivo processuale relativo alla validità della sottoscrizione dell’atto impositivo. La controversia si sposta poi in appello, dove viene ribaltato l’esito sul punto ritenuto assorbente, con conseguente necessità di valutare se le altre questioni potessero essere riesaminate. È qui che emerge la funzione sistematica dell’articolo 56 del decreto legislativo n. 546/1992: la norma, nel prevedere che i motivi non accolti e non riproposti si intendono rinunciati, impone all’appellato totalmente vittorioso l’onere non solo di formulare una riproposizione specifica dei motivi assorbiti, ma di farlo entro il termine per la costituzione in giudizio. Si tratta di un onere che non trova corrispondenza nel codice di procedura civile e che si giustifica alla luce della struttura impugnatoria tipica del processo tributario, caratterizzato da celerità, concentrazione e necessità di definire rapidamente l’ambito della contestazione.

Il giudice di legittimità, nell’interpretare la portata del combinato disposto delle norme richiamate, osserva che solo l’appellato può avere interesse alla decisione delle questioni assorbite, poiché solo nei suoi confronti si è formato un giudicato interno potenziale su elementi non esaminati. Pertanto, l’appellante non è onerato da alcuna riproposizione, mentre l’appellato deve attivarsi affinché tali questioni siano devolute al giudice del gravame. L’impiego di formule generiche o rinvii al contenuto degli atti del primo grado non soddisfa il requisito della specificità richiesto, come confermato dall’elaborazione dottrinale e dal materiale di supporto esaminato. Risulta altresì irrilevante che le controdeduzioni dell’appellato siano state depositate tardivamente, atteso che la costituzione oltre i sessanta giorni non è sanzionata da nullità, ma comporta la decadenza dalle facoltà condizionate al rispetto del termine, tra cui rientra la riproposizione dei motivi assorbiti.

In tal senso, le memorie successive assumono valenza meramente illustrativa e non possono essere utilizzate per introdurre questioni ormai precluse. Il giudice di appello non può dunque pronunciarsi su motivi non tempestivamente riproposti, pena l’alterazione del perimetro del giudizio e la violazione dei principi di correlazione tra chiesto e pronunciato. La decisione esaminata riafferma tale conclusione, evidenziando che la mancata riproposizione entro il termine di costituzione determina un effetto assimilabile alla rinuncia tacita del motivo, consolidando il giudicato interno sul punto.

La rigidità interpretativa adottata appare coerente con la logica del rito tributario, in cui la concentrazione delle difese nei primi atti risponde all’esigenza di definire con certezza, sin dall’inizio del giudizio, quali questioni saranno effettivamente dedotte dinanzi al giudice d’appello. Questa impostazione si inserisce in un più ampio movimento riformatore, volto a ridurre la durata del contenzioso e a valorizzare la funzione nomofilattica della Corte di cassazione. Il richiamo ai principi delle preclusioni processuali, applicati in maniera finalisticamente orientata, consente di rafforzare la prevedibilità delle decisioni e l’affidamento delle parti sulla scansione ordinatoria degli atti difensivi.

Sotto un profilo sistematico, la soluzione valorizza la nozione di interesse ad impugnare e rafforza il ruolo dell’appellato nel contribuire alla definizione del thema decidendum. Il mancato esercizio di tale potere determina una delimitazione irreversibile dell’oggetto del giudizio di appello, con potenziale incidenza anche sul successivo giudizio di legittimità, che rimane vincolato all’ambito della materia devoluta. Tale assetto rafforza la funzione di filtro delle commissioni tributarie d’appello e attribuisce maggiore certezza al percorso del contenzioso.

Alla luce di ciò, la pronuncia esaminata conferma un orientamento ormai consolidato secondo cui la tempestiva riproposizione dei motivi assorbiti rappresenta un onere essenziale e non una mera facoltà, e che il suo mancato adempimento preclude ogni ulteriore esame nel merito. L’approccio sistematico adottato dal giudice di legittimità chiarisce definitivamente i confini applicativi dell’articolo 56 del decreto legislativo n. 546/1992 e ribadisce la necessità di un comportamento processuale diligente da parte dell’appellato, pena la perdita definitiva della possibilità di far valere questioni idonee a incidere sull’esito della lite.

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