
Contenzioso Tributario
La natura non provvedimentale della comunicazione di esito del controllo ex art. 60-bis D.P.R. 633/1972 nella recente giurisprudenza di legittimità
Avv. Francesco Cervellino
12/5/2025

La questione dell’impugnabilità degli atti adottati dall’Amministrazione finanziaria in sede di controllo ai fini dell’imposta sul valore aggiunto continua a rappresentare un terreno di particolare sensibilità sistematica, soprattutto in relazione agli istituti connessi al regime di solidarietà del cessionario previsto dall’art. 60-bis del D.P.R. 633/1972. La recente pronuncia della Corte di cassazione, n. 31530/2025, costituisce un nuovo e rilevante tassello nell’elaborazione giurisprudenziale volta a distinguere, sul piano funzionale, gli atti dotati di effetto provvedimentale e idonei a incidere sulla sfera giuridica del contribuente, da quelli che, pur inseriti nel procedimento di controllo, risultano privi di autonoma capacità lesiva e sono, pertanto, sottratti al novero degli atti impugnabili.
Dalla decisione emerge un quadro ricostruttivo che, oltre a riaffermare la tassatività tipologica dell’art. 19 del decreto sul processo tributario, ne consolida la lettura estensiva fondata sul criterio sostanzialistico degli effetti giuridici prodotti dall’atto, secondo orientamenti già maturati in altre pronunce. Tale prospettiva consente una selezione più attenta degli atti effettivamente idonei a configurare un’immediata lesione, evitando al contempo un’irragionevole proliferazione contenziosa.
Il caso esaminato trae origine da una comunicazione ex art. 60-bis con cui l’Amministrazione informava il contribuente dell’imminente iscrizione a ruolo quale obbligato solidale per l’Iva non versata dal cedente, a seguito di operazioni concluse a prezzi inferiori al valore normale. La società destinataria impugnava tale comunicazione ritenendola espressiva di una pretesa tributaria definita nell’an e nel quantum. Dopo alterne valutazioni nei gradi di merito, la controversia approdava innanzi alla Suprema Corte, chiamata a chiarire se la comunicazione dell’esito del controllo costituisse un atto dotato di autonoma efficacia provvedimentale, idoneo cioè a determinare una modificazione della posizione soggettiva del contribuente e, pertanto, ricorribile autonomamente.
Il Collegio, ricostruendo dettagliatamente la sequenza procedimentale emergente dagli atti, rileva anzitutto come la comunicazione impugnata fosse stata preceduta da un formale invito ad adempiere, atto che la stessa giurisprudenza di legittimità riconosce come potenzialmente impugnabile in via facoltativa. A differenza dell’invito, che esteriorizza compiutamente una pretesa impositiva, la successiva comunicazione di esito del controllo non introduce alcun elemento nuovo sul piano sostanziale, limitandosi a informare il contribuente delle conseguenze già prefigurate e collegate all’inottemperanza al precedente invito. Essa non costituisce, dunque, né il primo atto lesivo né un atto con contenuto provvedimentale autonomo, ma svolge una mera funzione partecipativa e comunicativa nell’ambito del procedimento.
Il ragionamento della Corte si articola attorno al principio secondo cui la natura impugnabile dell’atto va individuata non già nel nomen iuris, ma nella sua effettiva idoneità a incidere unilateralmente sulla sfera giuridica del destinatario, producendo effetti immediati e definitivi. Da questa impostazione si ricava che un atto privo di autonomo contenuto prescrittivo e non costituente la prima manifestazione della pretesa tributaria non può essere equiparato a un avviso di accertamento o liquidazione, né può fungere da veicolo processuale per contestare gli esiti del controllo. La Corte sottolinea inoltre come la successiva emissione della cartella di pagamento, separatamente impugnata dal contribuente, confermi la natura meramente informativa della comunicazione oggetto di giudizio.
La decisione si colloca nel solco di precedenti orientamenti volti a definire una fisiologica scansione tra atti endoprocedimentali e atti autoritativi dotati di autonoma lesività. In tal senso, essa richiama indirettamente quel filone interpretativo secondo cui l’elenco di cui all’art. 19, pur non costituendo un numero chiuso in senso assoluto, resta pur sempre limitato agli atti che, per struttura ed effetti, presentano un contenuto provvedimentale immediatamente lesivo. L’ampliamento operato dalla giurisprudenza, infatti, si muove lungo direttrici funzionali e non incontrollate, mirando a garantire un equilibrio razionale tra tutela giurisdizionale effettiva ed esigenze di certezza e stabilità del procedimento tributario.
La sentenza assume particolare rilievo anche sotto il profilo della ripartizione degli oneri difensivi all’interno del procedimento ex art. 60-bis. Da un lato, chiarisce che l’eventuale contestazione da parte del contribuente deve essere indirizzata verso l’invito ad adempiere, ove ritenuto illegittimo; dall’altro lato, evita che la comunicazione di esito del controllo possa divenire uno strumento di duplicazione processuale, con inevitabili ricadute negative in termini di efficienza e proporzionalità.
In prospettiva sistematica, la pronuncia contribuisce a rafforzare la distinzione tra fase procedimentale e fase provvedimentale, riaffermando che solo quest’ultima costituisce il momento normativamente rilevante ai fini dell’esercizio del diritto di difesa. Al contempo, appare evidente come l’impostazione adottata sia volta a non indebolire il principio generale secondo cui deve essere assicurata piena possibilità di sindacato sugli atti realmente idonei a definire un’obbligazione tributaria.
La conclusione della Corte, nel rigettare il ricorso, si inserisce così in un quadro interpretativo coerente e ormai consolidato, ma nel contempo evidenzia l'esigenza di una costante attenzione alla qualificazione degli atti amministrativi tributari, alla loro funzione e ai loro effetti, affinché la tutela giurisdizionale risulti proporzionata e calibrata rispetto alle reali esigenze di protezione del contribuente.
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