
Contenzioso Tributario
Pregiudizialità tecnica e autonomia del giudizio tributario del socio nelle società a ristretta base
Avv. Francesco Cervellino
11/20/2025

L’assetto sistematico dei rapporti tra accertamento tributario societario e accertamento a carico del socio di una società di capitali a ristretta base partecipativa continua a rappresentare un nodo interpretativo di rilievo, in cui si intrecciano esigenze di coerenza del sistema impositivo, garanzie del contraddittorio e limiti soggettivi del giudicato. La recente giurisprudenza offre una ricostruzione più nitida dei confini fra i due giudizi, chiarendo che, pur nella comune matrice fattuale, essi restano procedimenti distinti e autonomi. La sentenza n. 29900/2025 della Corte di cassazione si colloca in tale solco, ribadendo l’impossibilità di sospendere automaticamente il giudizio instaurato dal singolo socio in attesa della definizione del parallelo processo relativo all’accertamento dei maggiori redditi contestati alla società partecipata.
Il quadro normativo di riferimento si articola attorno agli articoli 32 del Dpr 600/1973 e 51 del Dpr 633/1972, che disciplinano gli effetti delle movimentazioni bancarie ai fini dell’accertamento tributario, nonché agli articoli 295 e 337 del Codice di procedura civile, dai quali dipende la qualificazione e la disciplina della sospensione del giudizio. In presenza di società a ristretta base, la presunzione di attribuzione pro quota degli utili extracontabili accertati in capo all’ente collettivo costituisce un elemento tipico dell’azione accertativa; tale presunzione, tuttavia, non trasforma la posizione del socio in un’espressione meramente accessoria di quella societaria. Il socio resta infatti titolare di un autonomo rapporto tributario, distinto sul piano soggettivo e oggettivo, e ciò giustifica l’impostazione dualistica anche sotto il profilo processuale.
La Corte chiarisce che l’eventuale accertamento sul maggior reddito societario non vincola automaticamente il giudice del processo instaurato dal socio. Anzi, qualora quest’ultimo abbia impugnato autonomamente l’atto impositivo senza aver partecipato al giudizio relativo alla società, non può subire gli effetti del giudicato formatosi in quel procedimento, pena la violazione dei principi costituzionali sul diritto di difesa e dei limiti soggettivi del giudicato. Ne deriva che l’annullamento dell’avviso emesso nei confronti della società non produce automaticamente la caducazione di quello notificato al socio, a meno che si tratti di giudicato sostanziale e non di un vizio meramente formale del procedimento societario.
La relazione tra i due giudizi si qualifica dunque come pregiudizialità tecnica in senso proprio, fondata sulla comune origine fattuale delle contestazioni, ma tale pregiudizialità non è di per sé sufficiente a determinare una sospensione obbligatoria del processo sul socio. La Corte osserva che l’articolo 295 del Codice di procedura civile ha un’applicazione rigorosamente limitata ai soli casi in cui la causa pregiudicante sia ancora pendente senza che sia intervenuta alcuna decisione, neppure non definitiva. Se, invece, il giudizio societario è stato definito con sentenza non ancora passata in giudicato, la sospensione del procedimento relativo al socio ricade nell’ambito dell’articolo 337, comma 2, il quale prevede una facoltà e non un obbligo per il giudice.
Questa distinzione assume particolare rilievo nei giudizi tributari relativi a società a ristretta base. In tali ipotesi, il socio, pur essendo esposto alle conseguenze reddituali dell’accertamento societario, conserva un autonomo diritto di contestare nel merito la pretesa, senza essere vincolato alla ricostruzione effettuata in sede societaria. La Corte valorizza il principio secondo cui il contribuente che non ha preso parte al processo della società non può essere pregiudicato da un giudicato al quale è rimasto estraneo. La sospensione obbligatoria risulterebbe incompatibile con tale autonomia, mentre la sospensione facoltativa consente al giudice di valutare la convenienza sistematica e processuale della temporanea paralisi del giudizio sul socio, tenendo conto del rischio di conflitti tra giudicati e dei meccanismi correttivi offerti dagli articoli 336 e 337 del Codice di procedura civile.
Il ragionamento della Corte, in linea con precedenti orientamenti, evidenzia la necessità di preservare l’equilibrio tra efficienza del sistema tributario e tutela effettiva del contraddittorio. La soluzione adottata consente di evitare che l’autonomia dei procedimenti sia svuotata dai meccanismi di sospensione automatica, lasciando spazio a scelte processuali calibrate sulle esigenze concrete del caso, senza che il giudice si trasformi in un mero esecutore delle conseguenze di decisioni assunte in un diverso procedimento.
Le implicazioni operative della sentenza sono rilevanti. Gli operatori professionali devono considerare che la contestazione del socio non è subordinata alla definizione del giudizio societario e che il giudice del merito dovrà esaminare, con piena autonomia, le argomentazioni dedotte dal contribuente-socio, indipendentemente dalla sorte dell’accertamento societario. Ciò rafforza la natura bifasica dell’accertamento nelle società a ristretta base, in cui il legame economico tra ente e socio non si traduce automaticamente in un vincolo processuale necessario.
L’orientamento rafforza la tendenza della giurisprudenza verso una lettura equilibrata dei rapporti tra giudizi connessi, nella quale la pregiudizialità tecnica opera come criterio interpretativo, ma non come vincolo automatico di sospensione. Tale approccio, oltre a valorizzare la dimensione costituzionale del diritto di difesa, favorisce una maggiore coerenza del sistema, nella misura in cui evita rigidità procedurali e consente di modulare l’interazione tra giudicati in funzione dell’effettiva interdipendenza delle posizioni soggettive coinvolte.
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