
Contenzioso Tributario
La presunzione di equa ripartizione del vantaggio fiscale nelle operazioni oggettivamente inesistenti: riflessioni sistematiche sull'ordinanza n. 29299/2025
Avv. Francesco Cervellino
11/12/2025

La recente ordinanza n. 29299/2025 della Corte di cassazione offre un contributo di rilievo alla sistematizzazione dei criteri di accertamento tributario in materia di operazioni oggettivamente inesistenti, introducendo un principio di diritto suscettibile di incidere significativamente sull'onere probatorio gravante sul contribuente. La pronuncia, che trae origine da un contenzioso concernente l'emissione e l'utilizzazione di fatture fittizie tra due società cooperative, affronta tre profili di particolare interesse: la legittimità del raddoppio dei termini di accertamento, la debenza dell'imposta sul valore aggiunto (IVA) indicata in fattura e la ripartizione del vantaggio fiscale indebitamente conseguito tra le parti dell'operazione simulata.
Nel contesto normativo di riferimento, l'accertamento delle operazioni inesistenti si colloca al crocevia tra il diritto tributario sostanziale e il diritto penale tributario, con evidenti riflessi sulla certezza del prelievo e sull'affidamento dei contribuenti. La Cassazione, riprendendo un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, ha ribadito che il c.d. raddoppio dei termini previsto dall'art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 e dall'art. 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 trova applicazione in presenza di seri indizi di reato, indipendentemente dalla presentazione effettiva della denuncia penale o dalla sua eventuale archiviazione. Tale impostazione, tuttavia, non si estende all'imposta regionale sulle attività produttive (IRAP), la cui disciplina non contempla violazioni presidiate da sanzioni penali, in coerenza con la ratio di stretta interpretazione delle norme eccezionali in materia di decadenza.
Sul versante dell'imposizione indiretta, la Corte ha riaffermato il principio secondo cui l'IVA indicata in fattura resta dovuta anche in caso di inesistenza dell'operazione sottostante, salvo che l'amministrazione finanziaria abbia già recuperato l'imposta indebitamente detratta dal cessionario e quest'ultimo abbia provveduto al relativo versamento. La funzione deterrente dell'art. 21, settimo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972 emerge, dunque, in tutta la sua portata sistematica: la fattura falsa, pur priva di corrispettivo economico, genera un'obbligazione tributaria formale a carico dell'emittente, la cui neutralizzazione è subordinata alla prova dell'eliminazione del rischio di perdita di gettito. Tale meccanismo, coerente con la giurisprudenza unionale in materia di contrasto alle frodi IVA, mira a impedire che l'ordinamento possa tollerare vantaggi fiscali indebitamente conseguiti, in assenza di un effettivo esborso tributario.
Particolarmente innovativo risulta, però, il passaggio motivazionale dedicato alla determinazione del profitto imponibile derivante dall'emissione e dall'utilizzo delle fatture fittizie. La Cassazione, avallando la decisione del giudice di merito, ha riconosciuto la legittimità della presunzione di equa ripartizione del vantaggio fiscale tra cedente e cessionario, configurandola come criterio ragionevole e fondato su basi logico-giuridiche. Tale presunzione, in assenza di elementi contrari, si fonda sull'id quod plerumque accidit e trova riscontro nel diritto positivo attraverso numerose analogie sistematiche: dall'uguaglianza delle quote tra comunisti ex art. 1101 cod. civ., alla presunzione di pari colpa tra coautori di un illecito civile ex art. 2055 cod. civ., fino alla responsabilità solidale dei soci di società di persone.
L'introduzione di una presunzione di equa distribuzione del vantaggio fiscale assume, pertanto, una duplice valenza: probatoria e sistematica. Sul piano probatorio, essa determina un'inversione dell'onere della prova in capo al contribuente, che dovrà dimostrare, mediante riscontri oggettivi, che il profitto illecito non è stato conseguito o che è stato integralmente attribuito all'altra parte del rapporto. Sul piano sistematico, la presunzione consente di colmare una lacuna interpretativa nel caso di operazioni simulate, ove il riparto del vantaggio economico non sia desumibile da elementi contabili o finanziari certi. Tale soluzione appare coerente con l'esigenza di efficienza dell'azione amministrativa, in quanto evita che la mancanza di prove dirette vanifichi il potere di accertamento dell'amministrazione finanziaria.
Non può, tuttavia, sottacersi come l'ampliamento dell'ambito presuntivo rischi di incidere sulla posizione di garanzia del contribuente, esponendolo a una responsabilità presunta in assenza di riscontri concreti. Il bilanciamento tra esigenze di contrasto all'evasione e tutela dei diritti del contribuente impone, pertanto, che l'applicazione della presunzione sia accompagnata da un rigoroso controllo giudiziale sulla sussistenza dei requisiti di gravità, precisione e concordanza degli indizi, ai sensi dell'art. 2729 cod. civ. In tal senso, il principio espresso dalla Corte non introduce una responsabilità oggettiva, ma delinea un modello di presunzione relativa, suscettibile di essere superata da una prova contraria idonea e tempestiva.
La pronuncia in commento si colloca, dunque, nel solco di un'evoluzione giurisprudenziale che tende a valorizzare l'efficacia delle presunzioni nel processo tributario, intese non come meri strumenti sanzionatori, ma come mezzi di ricostruzione verosimile della realtà economica sottostante. Ciò risponde alla funzione stessa dell'accertamento tributario, che non mira a punire la mera irregolarità formale, bensì a ristabilire la corretta imposizione in relazione alla capacità contributiva effettiva. La Corte, richiamando implicitamente la logica dell'effettività fiscale, riafferma che la neutralità dell'IVA e la correttezza dell'imposizione diretta trovano limite invalicabile nella genuinità dell'operazione economica.
Il principio affermato dall'ordinanza n. 29299/2025 appare destinato a orientare tanto la prassi amministrativa quanto la giurisprudenza di merito, fungendo da parametro di valutazione della ragionevolezza delle presunzioni fiscali. La sua applicazione dovrà peraltro misurarsi con le garanzie derivanti dal diritto dell'Unione europea e con il principio di proporzionalità sancito dall'art. 6 della Carta dei diritti fondamentali, al fine di evitare che l'uso estensivo delle presunzioni degeneri in una compressione indebita del diritto di difesa. In definitiva, la Corte ha delineato una linea interpretativa equilibrata, che riconosce alla presunzione di equa ripartizione del vantaggio fiscale una funzione di razionalizzazione probatoria senza snaturare i principi di legalità e di proporzionalità dell'imposizione tributaria.
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