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Contenzioso Tributario

Il principio di inversione dell’onere della prova nell’accertamento analitico-induttivo: profili sistematici e implicazioni per la tutela del contribuente

Avv. Francesco Cervellino

10/17/2025

La recente ordinanza n. 27118 del 9 ottobre 2025 della Corte di cassazione rappresenta un momento di chiarificazione significativa nel sistema dell’accertamento tributario, consolidando un orientamento volto a rafforzare la posizione dell’Amministrazione finanziaria nei casi di inattendibilità della contabilità aziendale. Il provvedimento riafferma la legittimità del ricorso al metodo analitico-induttivo, previsto dagli artt. 39 del D.P.R. n. 600 del 1973 e 54 del D.P.R. n. 633 del 1972, consentendo all’Agenzia delle entrate di integrare o ricostruire i redditi dichiarati anche mediante presunzioni semplici, purché dotate dei requisiti di gravità, precisione e concordanza di cui all’art. 2729 del codice civile. Tale pronuncia incide profondamente sul rapporto probatorio tra fisco e contribuente, delineando un’inversione dell’onere della prova che si colloca al crocevia tra esigenze di efficienza fiscale e garanzie di difesa.

Sotto il profilo sistematico, l’accertamento analitico-induttivo si configura come strumento intermedio tra la verifica analitica e quella induttiva pura: esso presuppone l’esistenza di scritture formalmente regolari ma sostanzialmente inattendibili, tali da consentire all’Amministrazione di superare il dato contabile sulla base di elementi indiziari. La Corte, richiamando precedenti consolidati, ribadisce che la falsità o incompletezza delle scritture contabili autorizza l’Ufficio a ricorrere a presunzioni anche isolate, purché idonee a fondare un giudizio di verosimiglianza circa l’esistenza di componenti positivi di reddito non dichiarati. Una volta accertata l’inattendibilità delle scritture, l’onere della prova si trasferisce sul contribuente, il quale è tenuto a dimostrare la correttezza della propria contabilità e la non sussistenza dei maggiori redditi presunti. Tale principio, pur coerente con la logica dell’efficienza impositiva, comporta una rilevante deroga al paradigma ordinario dell’art. 2697 c.c., secondo cui è chi afferma un diritto a doverne provare i presupposti.

La vicenda oggetto dell’ordinanza prende le mosse da un accertamento concernente l’utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, emesse da società prive di struttura e operatività — le cosiddette cartiere — che avevano generato costi fittizi e occultato redditi reali. L’Amministrazione, constatata la falsità delle scritture, ha ricostruito il volume dei ricavi sulla base di presunzioni relative al margine illecito stimato. La Corte, nel cassare la decisione della giurisdizione tributaria regionale, ha rilevato l’errore dei giudici di merito nel non considerare la pluralità di elementi indiziari offerti dall’Ufficio, valorizzando il principio secondo cui anche una sola presunzione, se grave e precisa, può fondare l’accertamento. Il giudice tributario, pertanto, è tenuto a valutare la coerenza complessiva del quadro probatorio, non potendo escludere la validità della ricostruzione fiscale per il solo difetto di riscontri diretti.

Dal punto di vista dogmatico, la decisione rilegge la funzione delle presunzioni nel processo tributario come strumento di razionalizzazione probatoria. Esse non si limitano a integrare lacune documentali, ma costituiscono un mezzo autonomo di accertamento, dotato di una propria forza dimostrativa, che legittima la ricostruzione del reddito imponibile anche in assenza di prove dirette. La praesumptio hominis, nella sua declinazione fiscale, assume così valore di strumento di contrasto all’opacità contabile, specie nei casi di frodi strutturate o di contabilità meramente apparente. Tuttavia, la pronuncia evidenzia anche il rischio sistemico derivante da un’applicazione estensiva del principio: la possibilità che imprese prive di dolo, ma affette da irregolarità formali, subiscano accertamenti gravosi difficilmente confutabili, con effetti potenzialmente lesivi del diritto di difesa sancito dall’art. 24 della Costituzione.

In chiave interpretativa, la Corte delinea una linea di confine sottile ma decisiva: l’inversione dell’onere della prova non scaturisce automaticamente da ogni irregolarità, bensì dalla dimostrata inattendibilità complessiva della contabilità, intesa come mancanza di coerenza sostanziale tra i dati contabili e la realtà economica sottostante. Solo in presenza di tale disallineamento sostanziale l’Amministrazione può legittimamente fondare l’accertamento su presunzioni semplici e gravare il contribuente dell’onere di confutarle. La giurisprudenza di legittimità, dunque, sembra muoversi verso una concezione “funzionale” della prova tributaria, che privilegia l’effettività dei dati economici rispetto alla mera regolarità formale delle scritture.

In prospettiva sistematica, l’ordinanza n. 27118/2025 si inserisce nel più ampio processo di rafforzamento dei poteri istruttori dell’Amministrazione finanziaria, in linea con le politiche europee di contrasto all’evasione e all’elusione fiscale. Essa invita gli operatori economici a una maggiore trasparenza contabile e a un presidio più rigoroso dei processi documentali, poiché ogni anomalia può divenire il presupposto di una ricostruzione presuntiva difficilmente ribaltabile. Al contempo, il provvedimento sollecita una riflessione sul bilanciamento tra esigenze di gettito e garanzie del contribuente, richiamando la necessità di un controllo giurisdizionale effettivo sulla ragionevolezza e proporzionalità delle presunzioni utilizzate.

La decisione della Suprema Corte consolida il principio per cui, in presenza di contabilità inattendibile, l’Agenzia delle entrate può procedere a un accertamento basato su presunzioni semplici, spostando sul contribuente l’onere di dimostrare la correttezza dei propri dati fiscali. Tale impostazione, pur rispondendo a un’esigenza di tutela dell’interesse erariale, impone un rinnovato equilibrio tra potere accertativo e diritti di difesa, affinché l’efficacia degli strumenti di contrasto all’evasione non si traduca in un indebito sacrificio delle garanzie processuali e sostanziali del contribuente. In definitiva, l’ordinanza n. 27118/2025 si configura come un tassello fondamentale nella costruzione di un diritto tributario probatorio sempre più fondato sul principio di ragionevolezza presuntiva, ma anche come monito a preservare, in ogni caso, la centralità del giusto processo tributario.

Lo stesso articolo anche su studiocervellino.it